IL VALORE DI UN SORRISO

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Il sorriso è uno dei più importanti strumenti comunicativi e la sua portata è di forte impatto. Chi sorride entra subito in empatia con l’interlocutore e riesce spesso a contagiarne l’umore. Le persone che sorridono poco (alcuni esempi di personaggi famosi possono trovarsi in Margareth Thatcher, Victoria Adams, Bruce Willis, Hugh Laurie/dottor House, Josè Mourinho, ecc..) paiono scontrose o aggressive.

A livello percettivo, siamo portati ad associare una persona sorridente a stati d’animo positivi, come la simpatia, la cordialità, l’empatia, la disponibilità e l’apertura relazionale.

Più in generale, la capacità di sorridere è un’abilità sociale che trasmette una visione ottimistica ed è un efficace strumento di self-marketing: spesso infatti il sorriso è il primo “biglietto da visita” nei rapporti interpersonali e non solo quelli di vendita.

Se il sorriso è sincero trasmette apertura e gli studi in ambito comunicativo ne sottolineano la potenza in termini persuasivi e seduttivi: un bel sorriso conquista e genera in chi lo riceve, il piacere di instaurare una relazione professionale o personale.

Tuttavia non sempre il sorriso comunica apertura e disponibilità relazionale.

Come fare a riconoscere se un sorriso è sincero o meno?

Ci viene in aiuto l’analisi della comunicazione non verbale che rispetto a questa modalità comunicativa, ci segnala che ci sono essenzialmente due tipi di sorriso: quello vero, spontaneo e quello falso, di circostanza.

Il sorriso vero è aperto, ed è quello in cui si mostrano i denti; generalmente è istintivo ed autentico e porta a socchiudere leggermente gli occhi e far “gonfiare” gli zigomi.

E’ sempre importante che il sorriso sia sincero e non forzato, tuttavia, in alcune situazioni professionali, ci si trova a dover sorridere facendo quello che si dice “buon viso a cattivo gioco” anche se non se ne ha molta voglia. In questo caso manifestiamo finti sorrisi, che possono essere caratterizzati secondo tre diverse tipologie: il sorriso forzato, il sorriso a labbra strette e quello storto.  realvsfakesmile.png

Nella foto a sinistra, il primo sorriso appare naturalmente sincero e presenta le caratteristiche appena descritte, mentre il secondo è finto e forzato.

Possiamo riconoscere il sorriso forzato dal fatto che a ridere è solo la bocca mentre gli occhi hanno un’espressione più o meno indifferente. Un’altra caratteristica del sorriso forzato è quella di essere leggermente più marcato su un lato della bocca (generalmente il lato sinistro).  E’ il tipico sorriso “di rappresentanza” ma non è affatto convincente e il destinatario non ne conserva un buon ricordo.

charlene monaco

Capita anche spesso di vedere alla televisione o sui giornali foto di personaggi famosi o di politici che sorridono a labbra strette. Questo sorriso è classificato tra i sorrisi finti perché rappresenta più un gesto di cortesia e anzi, a volte viene utilizzato per non manifestare palesemente l’antipatia o il disappunto verso l’interlocutore o l’argomento. Anche in questo sorriso gli angoli della bocca si tendono e gli occhi manifestano scarsa emozione.

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Il sorriso storto viene utilizzato tutte le volte che sorridiamo e comunichiamo nel contempo sarcasmo o scherno. In questo caso il viso presenta la bocca sollevata solo da un angolo lasciando l’altro angolo senza alcuna espressione. Le sopracciglia sono talvolta sollevate e inarcate; per individuare questo tipo di sorriso, occorre essere molto esperti perché questa espressione dura pochissimi secondi. Per comprendere meglio la “falsità” di questo tipo di sorriso, si può coprire con una mano la metà del viso della figura qui a lato e constatare che da un lato si coglie il sorriso mentre dall’altro il viso risulta inespressivo e quasi spento.

L’incapacità di sorridere è un segnale non verbale di evidente chiusura. Si è scoperto che sorridere mette in azione oltre il 50% di muscoli in meno rispetto a quelli che attiviamo quando facciamo il muso o espressioni severe.

Suggerisco di sorridere sempre perché è come se costruissimo un ponte fra noi e gli altri.

Se qualcuno non capisce perché sorridete e considera che (come afferma l’antico detto) “il riso abbonda sulla bocca degli stolti”, non è un buon comunicatore e questo è un problema suo, non vostro!.

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Alla prossima!

 

E-MAIL BON TON: IL GALATEO PER CHI SCRIVE MAIL

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Da molti anni le mail hanno soppiantato le lettere, i fax e le comunicazioni formali di natura professionale (spesso anche buona parte delle comunicazioni verbali tra colleghi dello stesso ufficio..).

Leggere su un monitor è decisamente più faticoso che sulla carta. La lettura è più lenta del 25% ed è stato calcolato che il 75% degli utenti non legge riga per riga ma scorre il testo. Dobbiamo quindi fare i conti con l’impazienza dell’utente web.

 Per questa sorta di impazienza è fondamentale dare subito la parte importante per catturare l’attenzione e creare un buon “clima comunicativo”.

Sfortunatamente però quest’ultima azione spesso non è tenuta da conto per la velocità nello scrivere una e-mail e perché si pensa che nella comunicazione scritta passino solo le parole e non “i modi”.

 Nel 1995 Sally Hambridge pubblicò un lungo documento relativo all’uso della posta elettronica con l’obiettivo di fornire le fondamentali direttive della netiquette, ovvero delle regole della buona educazione sul web.

Esiste quindi un galateo della rete che vorrei presentare per fornire alcuni dei principi fondamentali a cui attenersi durante la preparazione di una mail per scrivere elegantemente e risultare efficaci e gentili comunicatori.

guidelines

1) IL CAMPO OGGETTO: il campo oggetto va sempre inserito perché aiuta a capire in modo immediato il tema del messaggio e la priorità da assegnargli. Ha l’obiettivo di segnalare “in miniatura” ciò che sarà trattato nella mail.  Occorre seguire alcune regole precise:

  • TOGLIERE I RIFERIMENTI ALLE MAIL PRECEDENTI (/r:, /r:,/r:….)
  • INIZIARE CON LETTERA MAIUSCOLA
  • NON SERVE SCRIVERE IN STAMPATELLO
  • NON USARE FRASI GENERICHE O ESPRESSIONI VAGHE (“Recapiti” = Indirizzi fornitori Lombardia ** “ file allegato” = Invio relazione di bilancio 2011 ** “ Bozza” = Bozza mailing per nuovi clienti ** “ Varie” =  Ultima riunione del 10 giugno u.s.: riflessioni)

2) CHIAREZZA DEL LINGUAGGIO: la chiarezza è il risultato di un linguaggio diretto, privo di circonlocuzioni ed espressioni prolisse.  Per esprimersi con chiarezza e valorizzare il testo è utile:

  • NON USARE LA TERZA PERSONA (rende impersonale)
  • NON USARE ESAGERATAMENTE LE MAIUSCOLE (rallentano la lettura)
  • NON ESAGERARE CON LA TERMINOLOGIA STRANIERA
  • USARE LE ABBREVIAZIONI IL MENO POSSIBILE
  • DI NORMA CREARE UN CAPOVERSO OGNI 6/7 RIGHE DI TESTOkiss
  • ATTENERSI ALLA REGOLA DEL KISS = keep it simple and short

 

 

3) SLANG AZIENDALE E PAROLE STRANIERE: usare ove possibile termini nella nostra lingua:  Scadenza e non deadline,  Diagramma e non  chart,  Competenze e non know-how,  Pranzo e non lunch,  Azienda e non Compagnia, ecc..

4) I NUMERI: fino a dieci compreso si scrivono in lettere. Fanno eccezione le date, le indicazioni degli orari e nelle comunicazioni commerciali/economiche i cento/mille, mila, milioni di Euro.

5) USO DEL MAIUSCOLO E DEL GRASSETTO: l’utilizzo del maiuscolo nel testo dei messaggi è assolutamente da evitare: nella rete questo comportamento equivale a URLARE ed è percepito come maleducato e aggressivo.

exclamation mark6) USO DEI PUNTI ESCLAMATIVI E INTERROGATIVI: limitarsi all’utilizzo di un solo punto interrogativo o esclamativo perché nella rete eccedere con questi segni di punteggiatura equivale a URLARE ed è percepito come maleducato e aggressivo.

7) EMOTICONS: deriva da emotion e icons, traducibile in icone emotive. Utili solo in contesti amicali per sdrammatizzare o per contestualizzare. Farne un uso parsimonioso nelle mail professionali e aziendali, inoltre in caso di utilizzo essere certi dei significati che ricoprono.

8) I PUNTINI DI SOSPENSIONE: sarebbero da evitare perché rallentano la lettura, ma se proprio volessimo usare questa modalità per creare una breve interruzione e suspence, utilizzarne sempre tre ( non quattro).

9) LE RISPOSTE: è buona educazione rispondere sempre alle mail per far comprendere al mittente di aver ricevuto e compreso il messaggio. Se si riceve una mail in cc  è buona norma attendere che il sia il destinatario il primo a rispondere. Se non lo dovesse fare in breve tempo, inoltrare una risposta al solo mittente.

10) RILEGGERE IL TESTO: rileggere tutto il messaggio prima di inoltrarlo al destinatario è buona norma per controllare che non vi siano errori grammaticali o di punteggiatura. I messaggi sgrammaticati denotano una mancanza di rispetto verso il destinatario.email-cartoon

Ultimo suggerimento, ma non per ordine di importanza, evitare di utilizzare il mezzo mail per comunicazioni molto personali, urgenti, o di “auguri in serie”. I messaggi di auguri di Natale, ad esempio, mandati a molti destinatari risultano impersonali e generalmente sono poco apprezzati.

Voi che errori fate?

 

PERCHE’ SI FANNO SCARABOCCHI MENTRE SI PARLA AL TELEFONO?

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Quante volte vi è capitato di parlare al telefono e iniziare, in maniera incontrollata, a disegnare scarabocchi?

Si tratta di un gesto per ingannare la noia o per aiutarci a concentrarci meglio sull’ascolto, ma avete mai pensato che anche questi segni, chiamati dagli psicologi americani doodles, raccontano qualcosa di noi?

Ebbene sì…i disegni e gli scarabocchi che possono sembrare insignificanti “pasticci” per ingannare il tempo durante l’ascolto, svelano molte cose di noi. Nello specifico, ogni cosa ha un significato preciso: frecce, cerchi, stelle, fiorellini, grovigli di linee e altro, sono rivelatori del carattere e delle preoccupazioni di una persona.

Sembra che gli scarabocchi che disegniamo mentre siamo al telefono, siano un riflesso della capacità dissociativa della nostra mente: mentre da una parte siamo concentrati con la nostra parte conscia alla conversazione, dall’altra a livello inconscio esprimiamo i nostri sentimenti e emozioni attraverso forme disegnate.

Vediamone insieme alcune tra le più frequenti:

doodle-arrows.jpgLE FRECCE: caratterizzano una fase particolarmente energetica e creativa. Se disegnate verso l’alto segnalano ambizione e affermazione sociale, mentre verso il basso potrebbero segnalare un po’ di aggressività verso se stessi. Se verso destra indicano ancora il bisogno di una crescita personale, mentre verso sinistra segnalano criticità nei confronti della famiglia.

LE STELLE: sono un indicatore di persona idealista, un sognatore a occhi aperti.

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LE FIGURE GEOMETRICHE (quadrati, rombi, cubi, pentagoni, ecc..): sono segnali tipici di una fase molto razionale e stabile. I cerchi sono più femminili e indicano accoglienza e adattamento, se le figure sono chiuse e non hanno tratti aperti, segnalano stabilità emotiva.

UN GROVIGLIO: è segnale di un momento in cui non si vuole far trasparire il proprio stato d’animo o le preoccupazioni relative a quanto si sta vivendo. E’ tipico delle persone che vogliono mostrarsi forti ma che hanno alcune insicurezze.

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ANNERIRE GLI SPAZI NELLE LETTERE: è un indicatore di ansia per il timore di sbagliare. Spesso questo scarabocchio in contesti professionali rivela personalità che vogliono svolgere i propri compiti in maniera completa, ordinata e rigorosa.

 

Oltre alla tipologia specifica di scarabocchio, occorrerebbe anche fare attenzione al tratto: se è molto ricalcato indica ansia, paure e aggressività. Se invece il tratto è più leggero, con poca pressione potrebbe indicare scarso coinvolgimento, passività o scarsa attenzione.

La posizione comunica a sua volta qualcosa: se lo scarabocchio viene fatto al centro della pagina indica il bisogno di una realizzazione personale, se fatto in alto indica fiducia in se stessi; gli scarabocchi fatti a destra segnalano bisogno di comunicare, mentre quelli fatti a sinistra informano su tendenze malinconiche, nostalgiche o passive.

E chi invece scarabocchia scrivendo ripetutamente la propria firma?

Questa tipologia di scarabocchio indica una personalità insicura e il bisogno di definire la propria identità.

Alcuni adolescenti, nella fase del bisogno di definire la propria individualità hanno lafirme tendenza a riempire interi fogli con la propria firma, magari sotto imitazione di quella dei amici o dei genitori stessi. Non è il caso di rimproverarli, è una normale fase e significa che non hanno ancora una personalità stabile e stanno cercando dei modelli in cui identificarsi.

 Anche i bambini più piccoli scarabocchiano…e questo è il loro modo di comunicare con il mondo esterno: disegnano case, alberi, soli, cerchi che potrebbero sembrare confusi ma che comunicano sempre qualcosa.

Mi sono innamorata di un disegno fatto da mio figlio e ne ho letto l’interpretazione psicologica…un insignificante albero stava rivelando l’essenza di mio figlio, il suo rapporto con me e la sua sicurezza nel contesto famigliare e nei confronti degli altri..mi sono commossa!


 

Se volete approfondire, ecco alcuni testi interessanti:
  • Ezio Compagnoni, “Scarabocchi e non solo”, Ed. La Meridiana, 2010
  • PaolaFederici , “ Gli adulti di fronte ai disegni dei bambini”, FrancoAngeli, 2005
  • Evi Crotti, Alberto Magni “I disegni dell’inconscio. Come interpretare i disegni degli adulti”, Oscar Mondadori, 2011
  • EviCrotti , AlbertoMagni , “Non sono scarabocchi”, Red Edizioni, 2002

 

Alla prossima!

GESTIRE I PARTECIPANTI DI UNA RIUNIONE

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Vi è mai capitato di assistere a litigi durante una riunione in azienda?

Di non comprendere le modalità talvolta poco professionali e poco educate utilizzate?

Immagino che abbiate anche potuto notare come talvolta gli interventi non sono stati solo maleducati e poco professionali ma anche prevaricanti.

Gestire le relazioni tra i partecipanti all’interno di una riunione non è cosa facile, soprattutto se il leader della riunione non è gerarchicamente il capo dei partecipanti. Un team è un microcosmo di caratteri e personalità che, se già possono essere complesse prese singolarmente, in gruppo diventano ancor di più difficile gestione.

Spesso gli atteggiamenti troppo emotivi portano allo sviluppo di dibattiti e di discussioni che non hanno nulla a che vedere con l’agenda del meeting. Questo è fisiologico: ogni invitato presenzia alla riunione portandosi dietro le proprie preoccupazioni, problematiche, simpatie e fa fatica a liberarsene. Molti partecipanti con questi atteggiamenti creano poi gruppi che si perdono nei dettagli e che sono inconcludenti.

Possiamo ricorrere all’aiuto della psicologia della gestione dei gruppi di lavoro perché vi sono alcune dinamiche ripetitive facilmente gestibili; nello specifico si possono identificare le seguenti tipologie di personaggi difficili.

 

question-manIL DOMANDOLOGO: E’ il partecipante che ha bisogno di fare continue richieste di approfondimento. Le domande di per sé sono un segnale di attenzione e di grande interesse (purché poste con toni tranquilli e non polemici), ma in generale si definisce domandologo il partecipante che eccede con le domande e arriva a disturbare gli altri e a farci perdere tempo. E’ importante porsi in maniera simpatica perché questo partecipante è una figura positiva e partecipativa all’interno della riunione, per cui l’ironia non deve essere un rilancio passivo ma una semplice battuta tipo: “come mai non mi hai ancora fatto domande?” accompagnandola con un sorriso e magari con una strizzata d’occhio. Questo tipo di gestione può funzionare meglio in ambienti informali.

 IL LOGORROICO: E’ il partecipante è che lungo e prolisso nei suoi interventi: non possiamo essere certi che sia solo un chiacchierone senza sosta oppure un accentratore, ciò che è importante ai fini della riunione è che i suoi interventi fanno perdere tempo e infastidiscono gli altri partecipanti. In questo caso la leadership deve emergere ed essere ben visibile, altrimenti gli altri partecipanti potrebbero percepire il conduttore come uno senza la capacità di gestione del team e del tempo. Tra l’altro, poiché uno degli obiettivi del leader è quello di fare partecipare tutto il gruppo per poter progredire nei lavori, è fondamentale bloccare gli interventi di questo partecipante. Il leader deve chiedere gentilmente al logorroico di aiutarlo a rispettare i tempi dedicati ai singoli punti in agenda e può rafforzare questa richiesta costituendosi un alleato nel timekeeper che a questo punto dovrà fare il “gioco sporco” è interrompere il logorroico al posto del leader segnalando che non si ha molto tempo residuo.  mormoratore

 

IL MORMORATORE: E’ un partecipante innocuo ma molto fastidioso perché crea un brusio di sottofondo che disturba e inoltre coinvolge nella sua perdita di attenzione anche i colleghi seduti al suo fianco. Bisogna stare attenti a irrigidirsi subito perché nelle riunioni può capitare di dover dire qualcosa nell’orecchio al collega, non per distrazione o mancanza di interesse, ma per il rimando ad aspetti lavorativi utili per i due partecipanti. Il leader deve essere bravo a comprendere se si tratta di chiacchiere finalizzate alla condivisione di aspetti lavorativi, forse fastidiose ma in genere utili ai partecipanti, oppure di mera distrazione. Nel primo caso può tentare di interrompere la chiacchierata e chiedere ai partecipanti coinvolti se hanno il piacere a condividere i loro spunti con gli altri colleghi. Nel caso di chiacchiere palesemente fatte per disturbare o per mancanza di interesse, occorre che il leader affronti i partecipanti con decisione e autorevolezza chiedendo loro di rispettare la disciplina e se persistono nel loro atteggiamento, dovrà non prestare loro più alcuna attenzione.

 

 

IL SACCENTE: Questo partecipante è difficile da gestire perché oltre all’atteggiamento del “io so tutto” ha anche la convinzione che il leader non sia poi così abile a gestire la riunione. Poiché egli pensa che il suo contributo sia fondamentale, attinente e illuminante per tutti, partecipa attivamente alle riunioni con un atteggiamento talvolta supponente per indicare come le cose dovrebbero essere fatte. Spesso il saccente fa dietrologia, intervenendo con commenti tipo “l’avevo detto io..”, “..se aveste fatto come avevo suggerito la volta scorsa..”.  Il leader può agire in due modi:

  1. Può ringraziarlo pubblicamente per il suo intervento e per la competenza che generosamente sta offrendo a tutti (attenzione a essere credibili con la modalità non verbale!). Il saccente ha bisogno di riconoscimenti in plenaria e quindi una parte di esso verrà gratificata da questo intervento; tuttavia si chiederà se realmente lo avete apprezzato oppure se è un modo per ironizzare sul suo intervento e poiché non ama le prese in giro, tenderà a limitare i commenti nei punti trattati nei minuti successivi;
  2. Un altro modo per gestirlo può essere la strategia di chiedere sempre a lui per primo, prima di prendere una decisione, cosa farebbe. Il saccente, preso alla sprovvista, non riuscirà a formulare una corretta risposta e farfuglierà qualcosa. Questa onta lo terrà tranquillo per i venti minuti successivi.

IL SILENZIOSO: Ci sono tre tipologie di partecipante silenzioso: quello demotivato o disinteressato, quello ostile e quello timido. Gli atteggiamenti e i presupposti sono completamente differenti: il demotivato tende a distrarsi facilmente, a disegnare sul proprio blocco degli appunti, a guardare continuamente l’orologio e/o il cellulare (proprio come se fosse a scuola), l’ostile ha un atteggiamento fisico di chiusura ed è spesso imbronciato mentre quello timido ha atteggiamento evasivi, tende a non guardare negli occhi per il timore di essere coinvolto. Ognuna di queste tre tipologie va gestita in modo diverso dal leader. Con il demotivato il leader dovrebbe innanzitutto se ha fatto bene a convocarlo e se realmente egli può dare un contributo o essere uno degli attori fondamentali per gli argomenti all’OdG. Potrà, nel caso di reale interesse a coinvolgerlo, assumere le stesse strategie da usare con il timido per “tirarlo dentro” nella discussione e avere anche il suo punto di vista. Con il partecipante dal silenzio ostile occorrerà essere cauti e inizialmente non costringerlo a intervenire. Occorrerà osservare bene a livello non verbale se l’ostilità è verso il leader, verso l’argomento trattato o verso un partecipante presente al meeting. Nel corso della riunione può essere utile fargli domande ponendole sotto forma di consiglio: “che suggerimento proponi per questa tematica?”.

IL POLEMICO: E’ un partecipante fastidioso ma non di difficile gestione. La sua mission è di evidenziare tutto ciò che non quadra, trovare il lato negativo delle proposte, osservare da angolazioni pessimistiche le soluzioni avanzate. Ho indicato mission perché il polemico è polemico di natura; non lo fa solo per essere disfattista, talvolta si aspetta anche dei plausi per come è riuscito a trovare così tante problematiche e criticità all’interno di una soluzione apparentemente percorribile. Partendo dal presupposto che talvolta avere all’interno del team “un avvocato del diavolo” può essere utile per stimolare una maggiore creatività negli altri partecipanti, questo tipo psicologico va gestito con cautela. Il leader non deve spazientirsi né renderlo visibile. Egli può ascoltare l’intervento del polemico con attenzione e al termine commentare con una frase tipo “interessante anche se ho qualche perplessità su alcuni punti”. Può essere utile chiedere ad altri partecipanti cosa ne pensano per rafforzare la vostra perplessità ed unire ad essa quella degli altri partecipanti. In questo modo il polemico non si sentirà spalleggiato da nessuno e potrebbe decidere di risparmiare i suoi commenti nei punti successivi.

businessmen-152572_960_720IL CONTRO-LEADER: Il contro-leader è colui che si mette di traverso nei confronti del leader. Potrebbe essere anche saccente e polemico ma ciò che lo differenzia da questi due partecipanti è che i suoi interventi hanno proprio l’obiettivo di attaccare il leader o di sminuirne l’autorevolezza. La comunicazione del contro-leader può essere spigolosa, aggressiva o anche molto calma e pacata (seppure tagliente!). Potrebbe non avercela direttamente con il leader ma semplicemente aver bisogno che i riflettori siano puntati su di lui e non sul leader. Comprendere questa ultima sfumatura è importante: se il contro leader non ce l’ha con il conduttore della riunione ma ha semplicemente bisogno di farsi notare, il leader può assecondarlo in questo suo bisogno, facendolo sentire importante, chiedendogli spesso il suo parere ed evidenziando con gentilezza che avete bisogno di tutti per terminare nei tempi previsti e lasciare i partecipanti agli impegni di lavoro (guardando proprio il contro-leader) importanti e urgenti. Se invece gli attacchi sono frontali e il contro leader sta cercando di fare una guerra aperta con il leader, è bene ignorare le critiche, rispondere sempre ai suoi interventi con domande (“perché?”, “In che senso?”, “come faresti?”) per non dargli pause e rimetterlo continuamente in gioco.

Sicuramente è un duro lavoro… ma una volta che si apprende come fare si avranno grandi soddisfazioni!!

Alla prossima!

 

 

 

 

 

 

COME FORMULARE UNA CRITICA IN MODO ASSERTIVO

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A volte capita di dover muovere delle critiche agli altri e il rischio è quello di generare comportamenti o troppo aggressivi o di scegliere strategie passive per evitare conflitti.

In particolare, quando si esprimono delle critiche si corre il rischio di finire in una modalità aggressiva win-lose screditando, umiliando o ferendo l’altro.

Questo non produce nulla di buono perché le relazioni win-lose non aiutano chi ha vinto…anzi, nel lungo periodo la relazione si ribalterà o porterà ad un lose-lose.

Nella nostra cultura siamo portati a collegare la passività con il genere femminile e l’aggressività con il genere maschile: si accettano quindi comportamenti aggressivi da uomini e si comprendono comportamenti passivi dalle donne. Al contempo, un uomo che produce comportamenti passivi è considerato un’ “ameba” così come una donna aggressiva viene vista come una “strega”.

Il comportamento assertivo prevede atteggiamenti e scelte linguistiche che facilitano le relazioni e non ha genere: è una strategia comportamentale utile a uomini e donne che genera rispetto per gli altri… “tirando le orecchie…gentilmente..”.

Nello specifico è un comportamento sociale caratterizzato da un empatico rispetto di se stessi e degli altri: la persona assertiva sa muovere le critiche partendo da un importante presupposto: voglio il rispetto per me…e per gli altri (senza quindi screditare né aggredire l’altro)!

 COME FARE PER RENDERE DELLE CRITICHE ASSERTIVE?

Ecco alcuni piccoli ma efficaci suggerimenti:

  1. Criticare a quattr’occhi e in privato;Assertion-5
  2. Parlare in modo fermo e tranquillo;
  3. Criticare sempre un comportamento e non la persona e il suo carattere;
  4. Essere specifici e chiari nella critica, argomentando e motivando con dati oggettivi;
  5. Lasciate spazio all’altro per esporre il proprio punto di vista, senza interromperlo;
  6. Concludere con un sorriso e una proposta che rafforzi l’intenzione positiva.

In questo modo saremo soddisfatti di noi e del nostro intervento… inoltre, visto che nella comunicazione ci si condiziona a vicenda, certamente il nostro interlocutore sarà portato, nelle future interazioni con noi, a mettere in atto comportamenti simili, generando una sorta di ASSERTIVITÀ VIRALE!

CHURCHILLCome disse W. Churchill:

“La critica può non essere piacevole, ma è necessaria. Compie la stessa funzione del dolore nel corpo umano. Richiama l’attenzione su uno stato malsano delle cose. Se è ascoltata in tempo, il pericolo può essere evitato; se viene messa da parte, si può sviluppare un morbo fatale.”

CHI DOMANDA, COMANDA….MA ATTENTI AGLI ERRORI!

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Coloro che nella comunicazione sanno porre le domande nel modo giusto, riescono a coinvolgere meglio i propri interlocutori, guidano la conversazione e hanno buone probabilità di risultare convincenti.

Saper porre le domande più adatte nel modo giusto è quindi uno degli strumenti più importanti del processo persuasivo sia per ottenere le informazioni necessarie, sia per guidare la conversazione nel verso che si vuole prendere.

L’utilizzo delle domande ci permette inoltre di dare importanza al nostro interlocutore perché le domande lo pongono al centro dell’attenzione e questo piace sempre molto.

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Poiché è noto il detto che CHI DOMANDA COMANDA, sarebbe utile imparare a fare le domande giuste per mantenere il controllo della comunicazione e esserne convincenti .. le domande mal poste sono uno strumento rischioso: è fondamentale evitare che il proprio interlocutore si senta sottoposto ad un terzo grado.

Potrebbe essere utile addolcire le richieste con parole tipo “Posso cortesemente chiederle…”, “le dispiacerebbe dirmi…”, “Può dirmi per favore….”, ecc.. In particolar modo vorrei concentrarmi con questo post sui 6 errori da evitare quando si fanno le domande:

  1. Fate una domanda alla volta: troppe volte sbagliamo ponendo due o più domande al nostro interlocutore…che senso ha? Vi siete accorti che tanto risponde solo a una? Facciamo un esempio: “Ciao, come stai? Ti disturbo? Sei a casa?” la risposta generalmente è “Ciao, sono in ufficio..”. Poiché difficilmente abbiamo due risposte, concentriamoci sulla domanda per la quale vogliamo ottenere una risposta.
  2.  Ascoltate la risposta: se facciamo una domanda a qualcuno è perché siamo interessati a comprendere il suo punto di vista o a ricevere informazioni al riguardo. Che senso ha non ascoltare la risposta e ripartire dopo pochissimi secondi con una nuova argomentazione? Esempio: “Ciao, come stai? Disturbo?..ti ho chiamato per chiederti…..” E’ vero che alcune persone ci mettono un po’ di tempo per formulare una risposta..ma ognuno ha i suoi tempi… anche questo è rispetto.
  3.  Formulate domande semplici e brevi: la semplicità facilita la comprensione e mette il nostro interlocutore da subito nella posizione di poter elaborare una risposta..senza dover perdere del tempo prezioso per analizzare la richiesta…. Esempio: “Considerando le difficoltà che contraddistinguono al momento presente la nostra realtà aziendale e le nostre aziende competitor, quali sono secondo te i fattori che sembrano interferire con i nostri tentativi concreti di ripresa commerciale e dello sviluppo del business?”.
  4.  Evitate di fare considerazioni all’interno della domanda: la domanda è neutra, non deve contenere assunzioni o giudizi. Questo potrebbe inibire il nostro interlocutore e portarlo a non dare risposte oppure a darle in maniera poco spontanea. Esempio: “Immagino che con tutto quello che hai guadagnato nello scorso anno, tu non abbia alcun problema a valutare questo tipo di acquisto, vero?”. Trovo che sia una formulazione poco corretta e poco etica.
  5. Evitare di fare domande con il “perché..?”: si suggerisce di evitare tale avverbio in quanto esso pone una richiesta troppo esplicita (per cui spesso si rischia di ricevere come risposta un atteggiamento di chiusura) oppure induce il nostro interlocutore a doversi giustificare perché suona come una critica. Abituiamoci allora a sostituirlo con altre formulazioni:

 “Perché hai scelto questo prodotto?” ⇒ “Cosa ti ha spinto verso questa scelta?”

e ancora

“Perché sei così disattento?” ⇒ “Come mai fatichi a mantenere attenzione su questo tema?”.

 

6.Le domande tendenziose: come per il punto 4, anche in questo caso la domanda potrebbe infastidire il nostro interlocutore che leggerebbe un secondo fine nella nostra domanda. Chi pone domande tipo: “Cosa ti suggerisce di fare la tua coscienza?” oppure “Quanto ti sta irritando questa situazione? Sei irriconoscibile..” sembra avere uno scopo preciso nel porre la domanda oppure viene percepito come uno che vuole esercitare un condizionamento sull’altro.

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Non esistono quindi risposte sbagliate ma solamente domande mal formulate…abituiamoci a fare domande che ci possano portare velocemente a ottenere la risposta di nostro interesse, quello che non manipolano la risposta dell’interlocutore e infine quelle che non lo fanno sentire come in un interrogatorio.

E dopo le domande giuste, bisogna iniziare ad ascoltare bene!

IL RICATTO EMOTIVO: le relazioni affettive e la “comunicazione egoistica”

ricatto emotivo

La parola manipolazione non ci piace, non ci sentiamo manipolatori e anzi, talvolta abbiamo temuto di essere manipolati.

Tuttavia, volendo essere sinceri, a tutti sarà capitato di ricorrere a forme più o meno velate di manipolazione, soprattutto nei confronti di persone a noi care (figli, partner, fratelli, amici..).

Sono forme di manipolazione sane nella misura in cui non sono volte alla sopraffazione dell’altro né a portare l’altro a fare qualcosa di offensivo o che va contro la sua volontà ma possono diventare egoistiche e malsane.

 Si conoscono 4 tipi di manipolazione:

  1.  Manipolazione per induzione del senso di ignoranza: il soggetto più forte vuole portare il soggetto debole a fare qualcosa facendolo sentire inesperto o incapace. Tra le frasi più usate in questo tipo di manipolazione: “Ascoltami, che mi ci sono già trovato..fidati..”, “Segui i miei consigli, lo sai che ho più esperienza di te..”;
  2.  Manipolazione mediante seduzione: Il soggetto più forte vuole portare il soggetto più debole a fare qualcosa sfruttando leve affettive, seduttive o semplicemente complicità e simpatia. In questo campo i bambini sono già molto bravi perché per ottenere ciò che vogliono ricorrono a coccole e bacini;
  3. Manipolazione mediante senso di colpa: Il soggetto più forte costringe il soggetto più debole a seguire la sua opinione facendolo sentire in colpa. Alcune frasi genitoriali tipiche: “Mi fai soffrire con i tuoi comportamenti, non lo merito”, “Come puoi fare questo..dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto per te?”;
  4. Manipolazione mediante disapprovazione: il soggetto più forte tende a ricattare il soggetto debole con muri di silenzio o musi. Tra le frasi più usate: “Fa’ quel che vuoi..vorrà dire che mi regolerò di conseguenza!”, “ Fai quel che credi, ma non pensare che sarò dalla tua parte!”

I primi due tipi di manipolazione possiamo definirli “sani”..anche se non è mai totalmente etico spingere per ottenere ciò che NOI vogliamo, senza tenere conto di ciò che vorrebbe l’altro.

Gli altri due tipi di manipolazione possono essere definiti RICATTI EMOTIVI.

 Il ricatto emotivo si verifica quando una persona a noi cara ci minaccia più o meno esplicitamente di punirci, di farci soffrire o di stare molto male se ci rifiutiamo di attenerci alle sue richieste.

 Questo tipo di ricatto è messo in atto dalle persone con cui si hanno relazioni affettive e generalmente il ricattatore conosce i nostri segreti, i nostri valori, le nostre debolezze e li usa per indurci ad obbedire.

Alcuni genitori utilizzano quotidianamente queste “tecniche” con i propri cuore cappiofigli, soprattutto adolescenti, forti dell’alibi che tanto-lo-stanno-facendo-per-il-loro-bene. Se è chiaro che l’età dell’adolescenza non è facile e che i conflitti sono all’ordine del giorno, è ingiusto uscirne con frasi tipo “se fai così mi verrà un infarto..così magari sarai contento!”. Questo ricatto emotivo porta alla rinuncia della propria individualità per il timore di perdere l’affetto dei nostri cari…ci sembra un metodo educativo corretto?

Ma come fare per uscirne? Come fare a non commettere questi errori?

 –  Se siamo i ricattatori, teniamo presente che amare una persona significa lasciarla libera di agire (e sbagliare) e che gli adulti che ricorrono al ricatto emotivo stanno educando dei figli che diventeranno ancor più abili di loro nel metterlo in atto. Il ricatto emotivo porta colui che è la vittima a cedere continuamente e a perdere la fiducia in se stesso (perché si sente incapace di imporre il proprio punto di vista)..questo non è voler bene!

 – Se siamo i ricattati, prendiamo consapevolezza del fatto che chi ci ricatta non si sente abbastanza sicuro di discutere con noi considerando anche il nostro punto di vista e che teme disperatamente di perdere…non è quindi così forte! Stabiliamo se siamo pronti ad affrontare le conseguenze di un’opposizione, ci vorrà determinazione indubbiamente, ma teniamo presente che GLI ALTRI CI TRATTERANNO SEMPRE NEL MODO IN CUI NOI CONSENTIAMO LORO DI FARE!

 

QUINDI..COSA VOGLIAMO FARE DELLE NOSTRE RELAZIONI?

 

 

 

GENITORI COACH A NATALE

christmas

Il periodo natalizio è veramente meraviglioso!

Chi ha dei figli sa che il Natale è il periodo che i bambini amano di più: la magia delle luci dell’albero di Natale, la letterina con le richieste dei regali, l’attesa…

E con il Natale arriva a casa anche Babbo Natale..un super nonno baffuto e con il pancione che viaggia migliaia di chilometri per portare i doni ai bambini..

Qui i genitori devono cercare di essere molto attenti a come comunicano con i propri figli, sarà scappato a molti di voi dire frasi come “Babbo Natale ti sta osservando…” , “Se non farai il bravo, Babbo Natale non ti poterà nessun regalo!”, “Vedrai che Babbo Natale ti lascerà solo carbone!”, “Se non mangi tutto, sicuramente Babbo Natale non ti porterà il Cicciobello nuovo!”, eccetera.

 Queste frasi sono assolutamente da evitare perché per i bambini Babbo è una figura mitica e positiva che li rassicura sul fatto che, quando qualcuno porta loro dei regali in dono, non lo fa in cambio della buona condotta o di altri tipi di baratto bensì gratuitamente…perché il giorno di Natale è la festa di tutti i bambini.

 Ecco quello che un genitore-coach dovrebbe tenere a mente: i nostri figli ricevono dalla figura di Babbo Natale un insegnamento molto utile e importante, che è quello della generosità al di là di qualsiasi cosa!

 E’ importante lasciare che i propri figli credano a Babbo Natale, così come ad altre figure mitiche legate al periodo natalizio e non (Befana, Fatina dei denti, ecc..) sino al giorno in cui naturalmente scopriranno la verità. Come gestire questo momento? Cosa dire?

Santa Claus

 Sicuramente potrebbe essere un momento triste in cui cade un’illusione e in cui ci sentiamo un po’ “bugiardi” per essere stati proprio noi a raccontare per tanti anni questa importante menzogna.

Nessun panico! Ecco alcuni suggerimenti per la gestione di questo difficile momento:

  1. Spiegategli che si tratta di una mezza verità perché Babbo Natale è la mitica figura che ricalca quella di San Nicola, realmente esistito, che regalò a delle bambine povere la dote per sposarsi;
  2. Se non è del tutto convinto ma chiede a noi se “Babbo Natale esiste?” si potrebbe rispondere con una domanda..chiedendo a lui cosa sente nel suo cuore. A seguito della domanda “tu cosa pensi?”, potrebbero rispondere “io ci credo!” e in quel caso unitevi a loro, dicendo che anche voi nel vostro cuore credete a questa buona figura. Se dovessero rispondere che non ci credono, hanno già la loro risposta..necessitano solo di essere accompagnati ad un livello di riflessione più “alto” e essere aiutati ad accettarlo;
  3. Si potrebbe infine dire che il mito di Babbo Natale è stato creato dai genitori per riprodurre ogni anno l’omaggio che i tre Re Magi hanno fatto per la nascita di Gesù, un modo per rendere magico questo momento dell’anno per i bambini e ricordare la nascita del bambino Gesù.

E’ fondamentale dedicare del tempo a queste spiegazioni e non ridurle a una veloce risposta. Entrate in empatia con i vostri bambini, parlategli con sincerità e ditegli che anche voi, da piccolini, avete creduto così profondamente a questa magia…

BUON NATALE A TUTTI.. e mi raccomando: dolcezza, tempo, sensibilità e soprattutto rispetto per i vostri figli che, seppur bambini , ingenui ed inesperti, sono piccoli uomini e donne in fase di apprendimento e alla ricerca di modelli su cui basarsi da grandi!

 

 

 

 

 

 

PERCEZIONI E PREGIUDIZI

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La percezione è il processo mediante il quale il cervello elabora le informazioni sensoriali provenienti dal mondo esterno e le traduce in informazioni più complesse. Il mondo percettivo non è la copia esatta del mondo reale ma un’elaborazione che le singole persone fanno relativamente a un’esperienza.

Le persone, andando alla ricerca di una coerenza con le proprie mappe mentali. In altre parole, filtrano la realtà e cercano di ricostruirla per ridare ad essa un senso.

Le nostre interpretazioni ci inducono a trasformare il nostro interlocutore secondo l’immagine che ci siamo fatti di lui, ovvero, tendiamo a cercare continuamente in lui dei segnali (verbali e non verbali) che confermino la nostra percezione. Già nel 1813 la scrittrice inglese Jane Austen nel suo famoso romanzo Orgoglio e Pregiudizio aveva organizzato l’intera trama raccontando la nascita di un amore contrastato da una prima impressione sbagliata che i due protagonisti Elisabeth e Darcy avevano provato reciprocamente. Il titolo originario dell’opera (in inglese Pride and Prejudice) era infatti First Impressions, modificato successivamente dall’autrice e rende perfettamente il senso di come un’errata cattiva impressione possa aver provocato addirittura la mancata ammissione della nascita di un sentimento d’amore tra i due protagonisti.

PREJUDSiamo quindi esperti nel formulare giudizi sulle persone partendo dalle nostre prime impressioni e questo accade nei primissimi secondi dell’incontro: entro i primi quindici secondi decidiamo se il nostro interlocutore merita la nostra fiducia, simpatia, interesse, ecc… .

Quando sentiamo parlare di pregiudizi pensiamo subito a quelli di natura razziale, ma il concetto di razza è piuttosto recente. I pregiudizi religiosi (persecuzioni e discriminazioni) li hanno certamente preceduti e ancor prima, ed è quello su cui vorrei porre la nostra attenzione, i pregiudizi di natura psicologica.

Watzlawick aiuta a “giocare” con i preconcetti e presenta il famoso problema del “nove punti”: un esercizio in cui la richiesta fatta è di unire i nove punti con quattro linee rette senza mai staccare la penna dal foglio:

  9punti

Ÿ

Ciò che rende la risoluzione di questo esercizio difficile è il presupposto (mappa mentale) che abbiamo autonomamente dato per scontato, ovvero che i nove punti costituiscano il perimetro di un quadrato, per cui, finché non si smette di considerarlo tale la soluzione non si troverà mai.

La soluzione si trova andando fuori dall’immaginario quadrato unendo i nove punti come indicato di seguito:

 

Ÿ         Ÿ         Ÿsoluzione 9 punti

Per diventare bravi nelle relazioni occorre saper accettare mappe differenti dalle proprie, anche se questo ci pone al di fuori delle nostre zone di comfort…

MA SECONDO ME E’ ASSOLUTAMENTE FATTIBILE… COSA NE PENSATE?

SVILUPPARE AUTOSTIMA NEGLI ADULTI E NEI BAMBINI

i love me

La considerazione che abbiamo di noi è forse la componente più importante del nostro benessere, inteso come ben-essere, ovvero stare bene nella propria unicità.

E’ un bel concetto quello di unicità che però si scontra con la nostra vita sociale e con i confronti che talvolta generano critiche o giudizi poco positivi.

Il nostro benessere e la nostra autostima si definiscono quindi su due livelli di percezione: una auto-percezione di sé (data da quello che io penso di me stesso) e da una percezione sociale (data da ciò che gli altri pensano di me).

Le due percezioni, che potremmo chiamare i nostri sé-privato e sé pubblico, si condizionano continuamente a vicenda.. Questo significa che se mi sento efficace, metterò in atto comportamenti di efficacia e verrò percepito come tale dall’esterno. Ma anche: se godo della stima e della considerazione degli altri, aumenterò la mia auto-considerazione di persona degna di stima.

Cosa è successo alle persone che hanno una bassa autostima?

Credono poco in se stesse e non hanno ricevuti grossi riscontri dal mondo esterno? Probabilmente è così…o forse viceversa…

self esteem

Certo è che i genitori giocano un ruolo importante nella formazione dell’autostima dei propri figli e hanno grandi responsabilità nei casi di figli con bassa autostima.

Non è certo facile aiutare un figlio che viene deriso dai compagni per un difetto fisico… è chiaro che la difesa del genitore verrebbe letta dal figlio come “Tu-mi-ami-incondizionatamente-e-accetti-i-miei-difetti…ma-non-vuol-dire-che-non-li-abbia..!”.

Quello che dovremo imparare a fare non è tanto negare o criticare le prese in giro ma aiutare i nostri figli ad una presa di coscienza della propria unicità, che darà le basi all’autostima partendo da parametri oggettivi e non da dettami del cuore.

Esempio:

[figlio]: Mamma, mi prendono in giro perché dicono che non capisco niente in matematica..”

[mamma]: Davvero non capisci proprio niente?

[figlio]: A volte sì…ma non sempre…anzi, a volte sono anche più veloce di loro..

[mamma]: Bene, quindi cosa ti fa stare male di quello che dicono i tuoi amici?

[figlio]: Che mi prendono per stupido..

[mamma]: E tu pensi di esserlo veramente? Hai detto che a volte sei anche più veloce di loro..

[figlio]: No! non lo sono!

[mamma]: Allora perché soffri?genitori figli

[figlio]: Hai ragione..grazie! 

INIZIAMO SUBITO…