Basta procrastinare!

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Come modificare la cattiva abitudine del rimando?

Sarà successo a tutti almeno una volta nella vita che durante un lavoro importante, un’attività in scadenza, un lavoro domestico, un compito noioso, invece di essere “sul pezzo”, concentrati per terminare nel modo migliore, qualcosa sia sfuggita di mano e l’attività importante abbia lasciato il posto ad altro.

Le conseguenze saranno state la perdita di opportunità,  ritardi,  vivere freneticamente uno stato stressante, il senso di colpa, la rabbia con se stessi.

Ma perché rimandiamo?procrastinating

L’impulso a procrastinare dipende da svariati motivi: a volte entra in gioco perché si hanno talmente tante cose da fare che il cervello cerca una scappatoia, altre invece la pigrizia o la stanchezza vincono sul senso di responsabilità.

Occorre sapere che, per quanto il procrastinare possa sembrare generato da pigrizia o da mancanza di metodo, nel cervello dei procrastinatori cronici operano veri e propri meccanismi biologici inconsci che li portano a rimandare gli impegni e questo avviene in modo più frequente quando ci si sente sovraccarichi.

Paradossalmente il nostro cervello smette di collaborare e mette in atto un programma di boicottaggio. La soluzione semplice per evitarlo è ELIMINARE le attività di sovraccarico, DELEGARE ciò che può essere fatto da altri, NEGOZIARE la priorità con cui evadere le attività.

Un’altra strategia utile è focalizzarsi sulla sostituzione della cattiva abitudine con altre più funzionali, piuttosto che sul combatterla.

Di seguito si propongono alcuni consigli per evitare di cadere nel meccanismo inconscio che ci porta a rimandare:

cubo1.    Prima le cose difficili. Anche se potrebbe scoraggiarci iniziare dalle attività più complesse o impegnative, questa strategia è utilissima per gestire il tempo nel modo migliore. Affrontare le attività difficili come primo obiettivo da portare a termine aiuta il senso di “leggerezza” per le piccole attività che seguono;

2.    sirenaNon lasciarsi sedurre: i pensieri associati all’impulso della procrastinazione sono “seducenti”  (finisco il film e poi mi metto al lavoro, gioco con il cellulare ancora per 5 minuti e poi basta..), ma portano a credere di avere tutto il tempo a disposizione per recuperare le proprie mancanze. Attenzione…sono come il canto delle sirene!;

3devodevo.    Devo, devo, devo..: le imposizioni rendono sgradevole anche il compito meno brutto (devo andare a correre domattina, devo andare in palestra perché ho pagato l’abbonamento e non lo sto utilizzando, dovrei smettere di fumare, non devo mangiare cioccolata, ecc..), perché richiamano alla mente gli obblighi e le responsabilità. Anche le persone più attente e responsabili sono meno motivate quando si auto-impongono qualcosa con questo verbo;

passi4.   “Fare un altro miglio”: se abbiamo un’attività molto grossa da portare a termine, pensare alla totalità della sua gestione ci spaventa e ci potrebbe gettare nello sconforto. Per evitare questa trappola mentale occorre definire piccoli sotto obiettivi e “smarcarli” di volta in volta…ogni passo in più ci renderà vicina la meta e saremo invogliati a non rimandare nulla per chiudere l’attività;

relax5. Trova del tempo per lo svago: riservarsi del tempo per fare attività che divertono di più, più leggere o in generale di svago, è una buona strategia per rimanere focalizzati nel momento del lavoro ed evitare di procrastinare. Benjamin Franklin diceva che la giornata dovrebbe essere suddivisa in tre parti, una dedicata al riposo, una al lavoro e una allo svago. Se riempiamo troppo le nostre giornate di attività impegnative, il procrastino potrebbe essere una strategia di “pausa” messa a punto dal nostro cervello;

ordine6. Lavorare nell’ordine: non si tratta del solito consiglio scontato. E’ fondamentale lavorare nell’ordine per evitare di distrarre l’attenzione in altre attività. L’ordine potrebbe anche essere non solo relativo allo spazio fisico in cui si lavora, ma anche all’ordine e organizzazione mentale delle attività da svolgere;

7. perfezionistaStop ai perfezionismi: la ricerca della perfezione ci porta a perdere tempo che invece potremmo dedicare ad altre attività (che rimandiamo), oppure potrebbe essere un alibi, una scappatoia del tipo “visto che non mi è rimasto abbastanza tempo per completare il lavoro come mi sarebbe piaciuto fare, lo rimando ad un altro momento in cui avrò tutto il tempo necessario”. In questo caso il perfezionismo potrebbe portarci a rimandare all’infinito!

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Rompere l’abitudine del procrastinare non è facile, questo è chiaro.

Fare piccoli passi quotidiani per cercare di sopraffare l’abitudine può essere un buon inizio…poi col tempo si vedrà…sempre che non ci si sia messi a pensare ad altro!

😜

 

 

 

 

 

 

LA COMUNICAZIONE NON VERBALE IN CONTESTI INTERCULTURALI

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Comunicare con efficacia non significa raggiungere tutti i propri obiettivi ed essere dei perfetti oratori, quanto piuttosto migliorare i rapporti interpersonali attraverso l’ascolto, l’osservazione e la calibrazione dell’interlocutore. L’osservazione è un elemento da non trascurare soprattutto quando si vuole approfondire l’ambito della comunicazione non verbale.

E’ noto a tutti che comunichiamo non soltanto con le parole ma con un insieme di gesti, sguardi, movimenti del corpo, detto in un’unica parola con il linguaggio non verbale: un tipo di linguaggio assolutamente espressivo da non aver bisogno delle parole.

E, quando ci si relaziona in contesti multi etnici, le parole passano davvero in secondo piano e occorre imparare una nuova tipologia di comunicazione interculturale che, nella sua definizione, vuole rispondere alla domanda: “come fanno a relazionarsi le persone che non hanno esperienze culturali simili?”.

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Effettivamente le diverse culture presentano dei propri segnali non verbali tipici e fra tutti la gestualità è l’aspetto che cambia di più nell’ambito dei differenti paesi. Facciamo alcuni esempi: relativamente al contatto fisico, in alcuni paesi arabi è naturale che gli uomini si salutino dandosi un bacio sulla guancia o che camminino tenendosi per mano perché in questi paesi il contatto fisico è considerato una forma di rispetto per cui non è bene astenersi dal praticarlo. In altri contesti sociali è considerato “sbagliato”, poco professionale e in alcuni casi estremi osceno.

E ancora, prendiamo il gesto “ok”,  formato unendo le punte del dito indice e del pollice: esso ha il significato di “va bene” negli Stati Uniti e in Europa settentrionale, ma in Francia indica qualcosa priva di valore (basandosi sulla simbologia del numero zero) e in Giappone simboleggia il denaro (si simula la forma rotonda di una moneta). ok.pngCi sono alcuni aneddoti a riguardo, sembra che negli anni ’50, durante una visita di Nixon in Brasile, i cittadini del posto divennero furiosi dopo che egli indirizzò loro ciò che considerava il segnale di approvazione (ok). Per quella gente il politico americano stava semplicemente offendendoli con un gesto osceno; egli non era stato attento alla differenza culturale anche nella trasmissione di un messaggio non verbale.

Ovviamente la scarsa conoscenza di alcune modalità comunicative influenza il rapporto con le altre persone.

Come si può trovare una strada di comunicazione fra le diverse etnie?

Storicamente, quando si faceva fatica a trovare il modo di comunicare con le persone diverse e non era possibile allontanarle, si è cercato di cambiarle, imponendo i propri pensieri e abitudini. In alcuni casi, la diversità spaventava a tal punto che le persone diverse andavano eliminate. Presento questi esempi storici per sottolineare come, nonostante siano passati anni, al giorno d’oggi ci siano ancora resistenze e difficoltà nell’accettare semplicemente le persone per ciò che sono e per i valori che portano. Per riuscirci occorre allenare il sentimento di “sensibilità interculturale”, ovvero la capacità di discriminare e sperimentare con entusiasmo le differenze culturali.

cavemanIn quest’ottica la comunicazione non verbale aiuta. E’ un po’ come tornare nella preistoria e vivere senza le parole, con i gesti, con gli sguardi, con il rispetto degli spazi interpersonali e della fisicità dell’altro e in questa dimensione le persone diventano un pochino più simili.

Si può quindi pensare di favorire l’incontro fra culture attraverso lo studio e la conoscenza della cultura dell’altro. Ci sono molti testi che aiutano in tal senso e che sottolineano alcune aree su cui porre attenzione per evitare errori relazionali.

Portiamo altri esempi: in alcuni paesi diversi dal nostro, esistono grandi differenze tra le due mani (destra e sinistra): la mano sinistra ha un significato negativo e viene usata solo per l’igiene intima, mentre con la destra si mangia e si svolgono la maggior parte delle “azioni pubbliche”. La mano sinistra viene considerata sporca ed è per questo che in alcuni paesi viene amputata la mano destra a seguito di piccoli crimini, per obbligare il reo a vivere solo con la mano “sporca”.

Non soffermiamoci solo ai gesti. Anche la voce e le sue inflessioni vanno allenate: in alcuni paesi orientali, il tono di voce è pacato e il volume è basso, non per timidezza ma per una forma di gentilezza. Questa cultura considererebbe aggressivi e maleducati popoli come gli americani o gli italiani che invece, comunicano con un volume più alto e un tono più squillante. Il silenzio è molto apprezzato in oriente e in India, considerato come una forma di rispetto dei ritmi dell’interlocutore; nella nostra cultura il silenzio viene letto come imbarazzo, incapacità comunicativa o mancanza di attenzione.

Come possiamo trovare, allora in noi stessi gli strumenti necessari ad aprirci a mondi nuovi e comprenderli nel profondo?

Con un’umana empatia. Concetto facile a dirsi ma molto complesso da mettere inempathize pratica. Occorrerebbe iniziare a considerare le altre culture non come “folclore” o forme “primitive”, perché ci riferiremmo alle persone e alle relazioni interpersonali da un’unica prospettiva, la nostra, considerata soggettivamente quella corretta. Non riduciamo l’uomo ad un modello, impariamo a raccogliere con umana curiosità ed entusiasmo ciò che arriva dall’altro.

Ascoltiamo l’altro, osserviamolo e poi ascoltiamoci e comprendiamo cosa evocano certi comportamenti in noi. Cosa ci richiamano, come ci arricchiscono. Guardare con gli occhi di un bambino potrebbe aiutare: i bambini non conoscono razze, ceti sociali, culturalizzazione. Con un sorriso fanno amicizia e poi diventa tutto più facile.

Alla prossima!