DIMMI COME SCRIVI…

scrivere

Lo sapete che la scrittura rivela la nostra personalità e le nostre inclinazioni?

Se durante un colloquio di lavoro, l’esaminatore vi dovesse chiedere di scrivere in dieci righe circa una descrizione di voi, non allarmatevi… è una pratica ormai diffusa quella di analizzare la grafia dei candidati.

La grafologia è una disciplina complessa che studia il gesto grafico (la nostra scrittura) evincendone molti lati di noi e del nostro carattere. Nello specifico, una competente analisi della scrittura serve a :

  • Rivelare il carattere di una persona (se è socievole o solitaria, generosa o avara, spontanea o razionale, impulsiva o controllata ecc..)
  • Rivelare il livello di intelligenza (se il suo pensiero è veloce o lento, profondo o superficiale, astratto o concreto, ecc..)
  • Rivelare le risorse professionali e le attitudini.

Quali sono gli aspetti da considerare nell’ interpretazione della scrittura? Eccone alcuni.

  • La pressione che viene esercitata sul foglio con la penna è un primo facile elemento di osservazione ed è indice della virilità ma anche di stati d’animo ansiosi e nervosi. Si riconosce perché, se passiamo le dita sul retro del foglio, ne percepiamo i solchi profondi. Chi scrive facendo molta pressione racconta di sé come una persona che prende le cose sul serio e trasferisce un carattere rigido e volubile. Chi scrive a tratto leggero, invece, comunica sensibilità e compassionevole, anche se può non essere molto vivace o energico.

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  • L’inclinazione (o la pendenza): è indice di dove l’individuo pone il suo centro di gravità: dentro di sé o fuori di sé e può essere dritta, inclinata verso destra o inclinata verso sinistra. L’assenza di pendenza, rivela una personalità equilibrata, razionale, diplomatica, orientata al presente. La scrittura inclinata verso sinistra rivela una personalità tendente alla riservatezza, diffidente, che non si mostra agli altri, orientata al passato. La scrittura pendente verso destra rivela invece una personalità aperta verso gli altri, socievole, orientata al futuro, che cerca di provare nuove esperienze e di fare nuovi incontri, ottimista. **A questa regola esiste un’eccezione. Se chi scrive è mancino, occorrerà analizzare le inclinazioni a destra e sinistra e ciò che comunicano all’inverso**

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  • La distanza fra le parole scritte fornisce altre utili informazioni su chi scrive e si valuta osservando lo spazio tra una parola e quella seguente.  Chi scrive ammassando le parole ravvicinandole molto fra loro, trasmette una mancanza di visione panoramica, scarso spirito critico, può essere sintomo di disordine e di uno stato mentale in perenne agitazione. La persona che scrive agisce senza pensare troppo alle conseguenze delle sue parole e dei suoi comportamenti. Spesso è ingenua, imprudente, impulsiva e non gradisce rimanere sola. Probabilmente sceglie di circondarsi sempre di molte persone e potrebbe avere dei problemi a rispettare la distanza personale altrui. Chi invece scrive tenendo una buona distanza fra le parole ama l’indipendenza e gli spazi aperti. Non apprezza essere soffocata e dà valore alla propria libertà. Spesso questo segno rivela una forte tendenza alla critica (che sfocia facilmente nell’ipercritica) sia verso gli altri che verso di sé.

grafologia distanza

  • La dimensione delle lettere rivela il tipo di rapporto che ci lega con gli altri, ovvero comunica quanta importanza il soggetto attribuisce agli altri e a se stesso. Indica anche quanto è grande il bisogno di spazio interiore. Se il soggetto ha la tendenza a scrivere con una calligrafia piccolissima, è una persona in grado di godere delle piccole cose della vita e capace di focalizzarsi sui dettagli. Sicuramente è una persona introspettiva, meticolosa e di attenta concentrazione. Se invece ha la tendenza a scrivere lettere grandi, è una persona estroversa, socievole, che ama essere al centro dell’attenzione.

grafologia dimensione

write blog

Questi i principali indicatori. Mi sono posta l’obiettivo di scrivere un post successivamente con altre indicazioni su cosa comunicano le firme, le singole lettere e analizzare scritture di persone famose. 

 

Alla prossima!!


Per chi volesse approfondire, ecco due testi che ho trovato molto utili:

Grafologia. Corso pratico per analizzare la personalità interpretando la scrittura di  C.Chinaglia, A.Davia, L’Airone Editrice, Roma

Come riconoscere un manager dalla scrittura di C. Poma, Franco Angeli Editore, Milano

LA COMUNICAZIONE NON VERBALE IN CONTESTI INTERCULTURALI

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Comunicare con efficacia non significa raggiungere tutti i propri obiettivi ed essere dei perfetti oratori, quanto piuttosto migliorare i rapporti interpersonali attraverso l’ascolto, l’osservazione e la calibrazione dell’interlocutore. L’osservazione è un elemento da non trascurare soprattutto quando si vuole approfondire l’ambito della comunicazione non verbale.

E’ noto a tutti che comunichiamo non soltanto con le parole ma con un insieme di gesti, sguardi, movimenti del corpo, detto in un’unica parola con il linguaggio non verbale: un tipo di linguaggio assolutamente espressivo da non aver bisogno delle parole.

E, quando ci si relaziona in contesti multi etnici, le parole passano davvero in secondo piano e occorre imparare una nuova tipologia di comunicazione interculturale che, nella sua definizione, vuole rispondere alla domanda: “come fanno a relazionarsi le persone che non hanno esperienze culturali simili?”.

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Effettivamente le diverse culture presentano dei propri segnali non verbali tipici e fra tutti la gestualità è l’aspetto che cambia di più nell’ambito dei differenti paesi. Facciamo alcuni esempi: relativamente al contatto fisico, in alcuni paesi arabi è naturale che gli uomini si salutino dandosi un bacio sulla guancia o che camminino tenendosi per mano perché in questi paesi il contatto fisico è considerato una forma di rispetto per cui non è bene astenersi dal praticarlo. In altri contesti sociali è considerato “sbagliato”, poco professionale e in alcuni casi estremi osceno.

E ancora, prendiamo il gesto “ok”,  formato unendo le punte del dito indice e del pollice: esso ha il significato di “va bene” negli Stati Uniti e in Europa settentrionale, ma in Francia indica qualcosa priva di valore (basandosi sulla simbologia del numero zero) e in Giappone simboleggia il denaro (si simula la forma rotonda di una moneta). ok.pngCi sono alcuni aneddoti a riguardo, sembra che negli anni ’50, durante una visita di Nixon in Brasile, i cittadini del posto divennero furiosi dopo che egli indirizzò loro ciò che considerava il segnale di approvazione (ok). Per quella gente il politico americano stava semplicemente offendendoli con un gesto osceno; egli non era stato attento alla differenza culturale anche nella trasmissione di un messaggio non verbale.

Ovviamente la scarsa conoscenza di alcune modalità comunicative influenza il rapporto con le altre persone.

Come si può trovare una strada di comunicazione fra le diverse etnie?

Storicamente, quando si faceva fatica a trovare il modo di comunicare con le persone diverse e non era possibile allontanarle, si è cercato di cambiarle, imponendo i propri pensieri e abitudini. In alcuni casi, la diversità spaventava a tal punto che le persone diverse andavano eliminate. Presento questi esempi storici per sottolineare come, nonostante siano passati anni, al giorno d’oggi ci siano ancora resistenze e difficoltà nell’accettare semplicemente le persone per ciò che sono e per i valori che portano. Per riuscirci occorre allenare il sentimento di “sensibilità interculturale”, ovvero la capacità di discriminare e sperimentare con entusiasmo le differenze culturali.

cavemanIn quest’ottica la comunicazione non verbale aiuta. E’ un po’ come tornare nella preistoria e vivere senza le parole, con i gesti, con gli sguardi, con il rispetto degli spazi interpersonali e della fisicità dell’altro e in questa dimensione le persone diventano un pochino più simili.

Si può quindi pensare di favorire l’incontro fra culture attraverso lo studio e la conoscenza della cultura dell’altro. Ci sono molti testi che aiutano in tal senso e che sottolineano alcune aree su cui porre attenzione per evitare errori relazionali.

Portiamo altri esempi: in alcuni paesi diversi dal nostro, esistono grandi differenze tra le due mani (destra e sinistra): la mano sinistra ha un significato negativo e viene usata solo per l’igiene intima, mentre con la destra si mangia e si svolgono la maggior parte delle “azioni pubbliche”. La mano sinistra viene considerata sporca ed è per questo che in alcuni paesi viene amputata la mano destra a seguito di piccoli crimini, per obbligare il reo a vivere solo con la mano “sporca”.

Non soffermiamoci solo ai gesti. Anche la voce e le sue inflessioni vanno allenate: in alcuni paesi orientali, il tono di voce è pacato e il volume è basso, non per timidezza ma per una forma di gentilezza. Questa cultura considererebbe aggressivi e maleducati popoli come gli americani o gli italiani che invece, comunicano con un volume più alto e un tono più squillante. Il silenzio è molto apprezzato in oriente e in India, considerato come una forma di rispetto dei ritmi dell’interlocutore; nella nostra cultura il silenzio viene letto come imbarazzo, incapacità comunicativa o mancanza di attenzione.

Come possiamo trovare, allora in noi stessi gli strumenti necessari ad aprirci a mondi nuovi e comprenderli nel profondo?

Con un’umana empatia. Concetto facile a dirsi ma molto complesso da mettere inempathize pratica. Occorrerebbe iniziare a considerare le altre culture non come “folclore” o forme “primitive”, perché ci riferiremmo alle persone e alle relazioni interpersonali da un’unica prospettiva, la nostra, considerata soggettivamente quella corretta. Non riduciamo l’uomo ad un modello, impariamo a raccogliere con umana curiosità ed entusiasmo ciò che arriva dall’altro.

Ascoltiamo l’altro, osserviamolo e poi ascoltiamoci e comprendiamo cosa evocano certi comportamenti in noi. Cosa ci richiamano, come ci arricchiscono. Guardare con gli occhi di un bambino potrebbe aiutare: i bambini non conoscono razze, ceti sociali, culturalizzazione. Con un sorriso fanno amicizia e poi diventa tutto più facile.

Alla prossima!

LEADERSHIP 3.0 – ALLENARE COMPETENZE EMOTIVE

emotional intelligence

NON CI SONO PIU’ I CAPI DI UNA VOLTA….

Sembrerebbe una frase fatta, come quelle che abbiamo sentito dire (o pronunciato) mille volte…vero?

Proviamo a pensare un momento al nostro capo: è un buon capo?

E noi? Lo siamo?

Se abbiamo come modello di riferimento un nostro “vecchio” capo, dobbiamo convincerci che non possiamo comportarci come lui…non va bene oggi e non otterremmo gli stessi risultati.

Il motivo è che non possono più esistere i capi di una volta perché la società è cambiata e sia le persone che le organizzazioni lavorano in modo diverso.

Le aziende sono diventate fortunatamente sempre più attente alle persone, viste non più come “macchine” ma come UMANE RISORSE, con relazioni, emozioni, talenti e sono quindi considerate importantissime perché rappresentano il valore aggiunto e il più grande vantaggio competitivo aziendale.

Eppure in alcune aziende in cui mi capita di lavorare come consulente, alcuni imprenditori sono fermamente convinti che i risultati aziendali e la gestione del team di lavoro siano un lavoro “di testa e non di cuore”. no no

Lo trovo poco utile e poco funzionale.

 

Nelle aziende del terzo millennio non possono esistere dei semplici manager, servono veri e propri leader,  capaci di raggiungere gli obiettivi facendo leva sulla componente emozionale propria e delle proprie risorse.

Fra i tanti libri che ho letto su questa tematica, ce n’è uno in particolare che secondo me fornisce gli spunti giusti e propone idee innovative sul management, sulla leadership e sulla gestione delle persone.

E’ un testo di Daniel Goleman del 2012 dal titolo  Leadership emotiva: una nuova intelligenza per guidarci oltre la crisi.

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Daniel Goleman, scrittore, psicologo e giornalista statunitense, è autore del best-seller “Intelligenza emotiva” uscito in Italia nel 1995 che descrive come:

 “l’insieme di specifiche capacità – consapevolezza e padronanza di sé, motivazione, empatia e abilità nelle relazioni interpersonali – che permettono di utilizzare le emozioni come un patrimonio di ricchezza straordinaria a vantaggio nostro e della collettività”.

In realtà, come sostiene Goleman, sono proprio le abilità legate agli aspetti emotivi e di relazione a fare veramente la differenza nelle organizzazioni e le competenze tecniche rappresentano abilità di base, necessarie ma non sufficienti, per ricoprire ruoli dirigenziali.

Influenzare emotivamente i propri collaboratori, saperli motivare innescando sentimenti positivi e riuscendo a liberare l’espressione dei talenti delle persone è quello che davvero rappresenta il requisito indispensabile per riuscire a fare la differenza nella gestione dei team di lavoro. 

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I “leader emotivi” esprimono nel modo migliore, secondo Goleman, le capacità proprie dell’intelligenza emotiva riuscendo a metterle pienamente a frutto nella guida dei propri collaboratori.

Una ricerca dell’UCLA (Università di California, Los Angeles) ha rivelato che la percentuale di leadership di successo attribuibile al QI (quoziente intellettivo) è pari al  7% , mentre  il restante 93% del successo deriva da fiducia, integrità, autenticità, onestà, creatività, presenza e adattabilità (in una parola QE – quoziente emotivo).

L’Intelligenza Emotiva è quindi ciò che distingue la performance base da quella di livello superiore, sia nei managers che nei singoli membri del team.

I leader emotivi  (capaci e consapevoli delle proprie emozioni e di quelle altrui) sono in grado di creare un ambiente lavorativo armonioso, positivo ma che possono anche, al contrario (in assenza di questa consapevolezza), renderlo tossico e distruttivo a livello psicologico, inefficace e disfunzionale.

Non è quindi più valida la credenza che nelle organizzazioni le emozioni rallentino i processi di lavoro e il business e che vadano quindi represse o non considerate…occorre cambiare approccio!

E voi? Che tipo di leadership adottate?

 

“Le persone competenti sul piano emozionale – quelle che sanno controllare daniel golemani propri sentimenti, leggere quelli degli altri e trattarli efficacemente – si trovano avvantaggiate in tutti i campi della vita, sia nelle relazioni intime che nel cogliere le regole implicite che portano al successo politico”.

Daniel Goleman

 

DIMMI COME SCRIVI…

scrivere

Lo sapete che la scrittura rivela la nostra personalità e le nostre inclinazioni?

Se durante un colloquio di lavoro, l’esaminatore vi dovesse chiedere di scrivere in dieci righe circa una descrizione di voi, non allarmatevi… è una pratica ormai diffusa quella di analizzare la grafia dei candidati.

La grafologia è una disciplina complessa che studia il gesto grafico (la nostra scrittura) evincendone molti lati di noi e del nostro carattere. Nello specifico, una competente analisi della scrittura serve a :

  • Rivelare il carattere di una persona (se è socievole o solitaria, generosa o avara, spontanea o razionale, impulsiva o controllata ecc..)
  • Rivelare il livello di intelligenza (se il suo pensiero è veloce o lento, profondo o superficiale, astratto o concreto, ecc..)
  • Rivelare le risorse professionali e le attitudini.

Quali sono gli aspetti da considerare nell’ interpretazione della scrittura? Eccone alcuni.

  • La pressione che viene esercitata sul foglio con la penna è un primo facile elemento di osservazione ed è indice della virilità ma anche di stati d’animo ansiosi e nervosi. Si riconosce perché, se passiamo le dita sul retro del foglio, ne percepiamo i solchi profondi. Chi scrive facendo molta pressione racconta di sé come una persona che prende le cose sul serio e trasferisce un carattere rigido e volubile. Chi scrive a tratto leggero, invece, comunica sensibilità e compassionevole, anche se può non essere molto vivace o energico.

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  • L’inclinazione (o la pendenza): è indice di dove l’individuo pone il suo centro di gravità: dentro di sé o fuori di sé e può essere dritta, inclinata verso destra o inclinata verso sinistra. L’assenza di pendenza, rivela una personalità equilibrata, razionale, diplomatica, orientata al presente. La scrittura inclinata verso sinistra rivela una personalità tendente alla riservatezza, diffidente, che non si mostra agli altri, orientata al passato. La scrittura pendente verso destra rivela invece una personalità aperta verso gli altri, socievole, orientata al futuro, che cerca di provare nuove esperienze e di fare nuovi incontri, ottimista. **A questa regola esiste un’eccezione. Se chi scrive è mancino, occorrerà analizzare le inclinazioni a destra e sinistra e ciò che comunicano all’inverso**

 grafologia inclinazione.jpg

  • La distanza fra le parole scritte fornisce altre utili informazioni su chi scrive e si valuta osservando lo spazio tra una parola e quella seguente.  Chi scrive ammassando le parole ravvicinandole molto fra loro, trasmette una mancanza di visione panoramica, scarso spirito critico, può essere sintomo di disordine e di uno stato mentale in perenne agitazione. La persona che scrive agisce senza pensare troppo alle conseguenze delle sue parole e dei suoi comportamenti. Spesso è ingenua, imprudente, impulsiva e non gradisce rimanere sola. Probabilmente sceglie di circondarsi sempre di molte persone e potrebbe avere dei problemi a rispettare la distanza personale altrui. Chi invece scrive tenendo una buona distanza fra le parole ama l’indipendenza e gli spazi aperti. Non apprezza essere soffocata e dà valore alla propria libertà. Spesso questo segno rivela una forte tendenza alla critica (che sfocia facilmente nell’ipercritica) sia verso gli altri che verso di sé.

grafologia distanza

  • La dimensione delle lettere rivela il tipo di rapporto che ci lega con gli altri, ovvero comunica quanta importanza il soggetto attribuisce agli altri e a se stesso. Indica anche quanto è grande il bisogno di spazio interiore. Se il soggetto ha la tendenza a scrivere con una calligrafia piccolissima, è una persona in grado di godere delle piccole cose della vita e capace di focalizzarsi sui dettagli. Sicuramente è una persona introspettiva, meticolosa e di attenta concentrazione. Se invece ha la tendenza a scrivere lettere grandi, è una persona estroversa, socievole, che ama essere al centro dell’attenzione.

grafologia dimensione

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Questi i principali indicatori. Mi sono posta l’obiettivo di scrivere un post successivamente con altre indicazioni su cosa comunicano le firme, le singole lettere e analizzare scritture di persone famose. 

 

Alla prossima!!


Per chi volesse approfondire, ecco due testi che ho trovato molto utili:

Grafologia. Corso pratico per analizzare la personalità interpretando la scrittura di  C.Chinaglia, A.Davia, L’Airone Editrice, Roma

Come riconoscere un manager dalla scrittura di C. Poma, Franco Angeli Editore, Milano

COME MOTIVARE I COLLABORATORI?

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Si legge tanto su come raggiungere gli obiettivi, come gestire i collaboratori, come selezionare e mantenere in azienda i talenti…ma la vera difficoltà per un manager è riuscire a TENERE ALTA LA MOTIVAZIONE DEL PROPRIO TEAM.

Sappiamo bene (perché ci siamo passati) che il capo che ti dice “dovresti essere più motivato!” non aiuta, genera frustrazione, talvolta rabbia…e un collaboratore demotivato è poco performante e non raggiunge gli obiettivi – propri o di team.

Qual è il modo giusto quindi per motivare un collaboratore?

Oggi più che mai, in un momento sociale di crisi economica delle aziende, la motivazione dei collaboratori diventa uno scopo fondamentale e anche un problema, perché sino ad ora si è sempre ricorsi alla ricompensa monetaria. Non sempre però si possono applicare gli incentivi economici, inoltre le statistiche dicono che questi portano risultati modesti e nel breve periodo.

Quali allora le dritte per motivare?

Per arrivarci, ecco i risultati di un’altra indagine rivolta ad un certo numero di dipendenti, volta all’ottenimento delle cause della loro demotivazione in azienda. Alla domanda “cosa ti demotiva maggiormente in una giornata lavorativa?” ecco le risposte, in ordine di importanza:

  1. Il mio capo non mi ascolta. Fa sempre quello che ha in mente.
  2. Il mio capo ha un pessimo carattere, è aggressivo e incapace di fare apprezzamenti.
  3. Ci spreme e poi non mantiene le promesse.
  4. Non ci fa crescere, è poco delegante e trasferisce poco le sue conoscenze.

Mi soffermerei qui….

Cosa si può evincere da questi dati? Sembrerebbe che tutto parta dall’atteggiamento del capo.

MY FAULTDelusi? Perché?

In fin dei conti, se ci spostiamo in ambito sportivo, quando una squadra è poco performante, tutti sono d’accordo nel cambiare il coach..attribuendo a lui la responsabilità dei risultati del team.

Abbiamo avuto invece la possibilità di maturare una nuova e utilissima consapevolezza:

 

GRAN PARTE DELLA LORO MOTIVAZIONE DIPENDE DA NOI!

Chiediamoci allora:

–      Sono un modello per loro?

–      Si sentono importanti nel mio team?

–      Sono bravo a entusiasmarli?

–      Uso un linguaggio positivo e motivante?

–      Sono motivante nel mio comportamento e nelle mie parole?

 

Ecco allora qualche suggerimento per motivare lavorando sul proprio atteggiamento.

  1. DAI RILEVANZA A TUTTI:

RELEVANCEPer creare un ambiente motivante occorre fare il possibile per valorizzare il lavoro dei singoli assicurandosi che ogni collaboratore si senta utile e portatore di “valore aggiunto”. Non c’è cosa peggiore di sapere di fare un’attività poco utile, poco considerata, superflua o di basso interesse per l’azienda.

  1. DELEGA:

delegarI collaboratori che sono già formati e con un’alta seniority aziendale non sono contenti di avere il fiato sul collo o di essere considerati solo dei “passa-carte”. Troppo controllo a volte è controproducente perché avvilisce alcuni e ne deresponsabilizza altri. Dimostra invece ai tuoi collaboratori che ti fidi di loro, che sai che opereranno bene e comunque per il bene dell’azienda, intervieni solo se non raggiungono l’obiettivo che ti eri posto per loro.

  1. RICONOSCI I MERITI NEL MODO GIUSTO

GRATIFICAREIl lavoro del gruppo deve sempre essere valorizzato, apprezzato, monitorato. Gli apprezzamenti generici tipo “Bene!”, “Ben fatto!” e magari anche un “Continua così..”, vengono vissuti come una modalità paternalistica e non come invece il giusto feedback in una relazione professionale paritaria di reciproca stima. Il corretto feedback invece deve essere contestualizzato al risultato ottenuto o all’impegno messo in atto: “Sei riuscito a completare l’attività nonostante tutti gli inconvenienti accaduti, molto bene!”  oppure “il tuo comportamento durante la riunione è stato apprezzato da tutti e molto utile per analizzare la nostra situazione. Per favore, agisci sempre in questo modo!”.

Un buon riconoscimento fa sempre bene: non siate avari nelle lodi!

  1. FAI STARE BENE IL TUO TEAM

HAPPYTEAMPer far lavorare bene qualcuno occorre creargli un contesto sereno, sicuro e disteso. Le persone demotivate spesso lavorano in ambienti tristi o angoscianti. Assicuratevi di aver creato un ambiente giocoso e in cui nessuno si sente pressato o giudicato. Alcuni dipendenti producono poco perché si sentono giudicati nei loro errori e sono stati redarguiti pubblicamente. Create una zona “relax” con frutta fresca, svaghi o altro per consentire alle persone di “staccare” la spina e riprendere con maggiore slancio. Proteggili se sbagliano nei confronti delle altre aree aziendali o dei clienti: un team motivato ha bisogno di un capitano che lo “protegga” sempre.

  1. COMUNICA CON GENTILEZZA E RISPETTO

netiquetteComunicare con gentilezza e rispetto aiuta le persone a sentirsi accettate e sicure e instaura un rapporto basato sulla stima reciproca e sulla fiducia. Un ambiente di lavoro basato sulla paura di una reazione del proprio capo o peggio, sul timore di un’umiliazione non è affatto motivante. Le persone devono poter imparare dai propri errori e devono volere fortemente comprendere i meccanismi che le hanno portate a sbagliare. I modi sgarbati o gli attacchi frontali hanno come unico effetto la creazione di alibi del dipendente, spesso usati come difesa.

  1. DAI LORO UN ESEMPIO DA SEGUIRE

EXAMPLEIniziare la giornata con un bel “Buongiorno!”, con entusiasmo e trasferendo passione per il proprio lavoro è fonte di motivazione nonché di grande esempio. Delega il giusto, ma aiutali quando li vedi in difficoltà..questo li porterà a fare lo stesso fra loro e darsi supporto vicendevolmente. Mangia con loro, non rimanere chiuso in ufficio a lavorare, la condivisione è un momento importante e fornisce al team un modello di vita comune anche fuori del normale orario lavorativo.

Spero di aver fornito qualche utile spunto di riflessione e di azione.

Inizia domani, fai il giro degli uffici e salutali, verifica come stanno, come lavorano…osservali!

Alla prossima!

L’ARTE DEL GENITORE

genitori

Essere dei genitori è diventato difficile.

Non che in passato non lo fosse, ma i nostri genitori avevano a che fare con bambini e adolescenti meno interattivi, oserei dire meno “svegli”.

Le nuove generazioni non amano conformarsi e seguire le regole: da un lato questo è positivo, significa evoluzione, diversificazione, apertura mentale..ma ai poveri genitori chi pensa?

Noi genitori, già alle prese con realtà lavorative complesse e che richiedono sempre più tempo in ufficio, ci troviamo a sentirci spesso sopraffatti dalle situazioni: i compiti, gestione delle regole familiari, le gelosie con gli altri fratelli, l’organizzazione del tempo libero dei bambini e – ciliegina sulla torta –  i conflitti che arrivano già dalla pre-adolescenza.

Come fare a uscirne vivi?parents

Come gestire veramente bene la relazione genitore-figlio imparando a farsi ascoltare e ad ascoltare a nostra volta?

Come farli crescere sereni ed educati?

Quello che noi genitori dovremmo imparare a fare è ciò che apprendiamo in azienda. Avete presente la leadership situazionale? Ovvero, cambiare stile a seconda della fase di maturità del collaboratore.

Ecco, il genitore dovrebbe cambiare atteggiamento nei confronti dei figli in base alla situazione che si sta vivendo o al problema da affrontare. Un approccio sempre direttivo, eccessivamente protettivo o (all’opposto) troppo amichevole, non si presta bene alle diverse fasi di crescita dei nostri figli.

Una sorta di genitore-coach, che si mette davanti, di lato e ad un certo punto dietro il proprio figlio per proteggerlo, per dargli gli strumenti di valutazione indipendente e per lasciarlo andare..

perfect parents.pngQuesto approccio è complesso da gestire dal punto di vista emotivo perché i genitori cercano sempre di aiutare i propri figli evitando loro di commettere errori per non vederli soffrire.

Tuttavia essi dovrebbero quasi concentrarsi di più nel preparare la strada che i figli percorreranno, favorendone attitudini e potenzialità e lasciandoli liberi di scegliere, sostenendo i loro “gesti spontanei” e aiutandoli a riconoscere il proprio sé.

Ma se i figli prendono una strada diversa da quella che si attendono i genitori?

Non c’è da preoccuparsi, essi continueranno sicuramente a vivere i valori che gli sono stati trasmessi e sapranno cavarsela autonomamente con una buona dose di autostima.

***

Questi e altri temi verranno trattati nel mio prossimo seminario sull’ARTE DEL GENITORE a Milano il 13 maggio con altre due colleghe coach Simona Cianchetti e Yara Bravo.

Il seminario si pone l’obiettivo di lavorare sulla consapevolezza dei genitori relativamente alle proprie modalità educative, che riflettono le modalità educative che hanno ricevuto a loro volta e che talvolta rendono difficile questo compito.

Si analizzeranno gli atteggiamenti e le parole errati che potrebbero demolire l’autostima dei figli o incrinare la relazione con essi.

Verranno inoltre forniti strumenti per facilitare la relazione agendo allo stesso tempo su:

  • L’EMOTIVITÀ
  • LA GESTIONE DEL CONFLITTO NEL PERIODO ADOLESCENZIALE
  • L’ACCRESCIMENTO DELLA LORO AUTOSTIMA
  • IL RISPETTO DELLE REGOLE

Ecco la locandina…le iscrizioni sono aperte!!!

locandina genitori

CONFLITTI VERBALI E AGGRESSIVITA’: COME GESTIRE PERSONE DIFFICILI

aggressivo

Un’azienda su sette è ad alto rischio di prepotenze e prevaricazioni, secondo una ricerca di SDA Bocconi in collaborazione con INAIL dei primi mesi del 2016. 

Ma non vale solo per le aziende..

Quando accompagno i miei figli al parco giochi noto come i bambini si mostrano spesso aggressivi e prevaricanti fra loro e guai ad intervenire in un loro litigio, perché si potrebbe scatenare l’ira del suo genitore, ancor più aggressivo e prevaricante del figlio.

Si potrebbe dire, generalizzando, che viviamo in un mondo pieno di persone difficili da gestire: aggressive, maleducate, prepotenti, supponenti, arroganti e superbe.

bad good

La cattiva notizia è che non le cambieremo mai. Non fa parte del nostro ruolo..

La buona notizia è che possiamo apprendere a gestirle interagendo correttamente e senza doverle “subire”.

Perché, se ci avete fatto caso, queste persone non mettono in atto gli stessi comportamenti con tutti ma hanno la tendenza a infierire con alcune tipologie di interlocutori specifici. Si tratta allora di gestire la relazione con queste persone nel modo giusto, utilizzando tecniche comunicative precise e con consapevolezza.

 Vediamone insieme qualcuna:

question mark1. Imparare a rispondere con una domanda anziché di reagire d’istinto: l’attacco verbale è messo in atto volutamente per ferirci ed è normale che la risposta istintiva esca dalla nostra bocca per colpire a nostra volta. Ma fare una domanda al posto del contrattacco ha almeno 4 significati strategici:

  • diventare padroni della conversazione
  • non dargli soddisfazione
  • metterlo nella condizione di dover elaborare una risposta
  • prendere tempo per controllare e gestire le proprie emozioni

2. Mettere in atto un ascolto empatico: chiedetevi il motivo per cui questa persona siempathic listening comporta in questo modo e provate a immaginare cosa potrebbe esserci dietro a comportamenti di questo tipo (insoddisfazione? Malcontento? Rabbia repressa troppo a lungo? Rabbia? Frustrazione?). Questo atteggiamento dovrebbe aiutarvi a relazionarvi in un modo più morbido e comprensivo e questo potrebbe aprire una cooperazione o comunque far diminuire il livello di aggressività dell’altro. Un atteggiamento aperto all’ascolto in una relazione aggressiva è una bella risposta di forza interiore e consapevolezza e tenderete a destabilizzare la persona difficile.

3. Tenere sempre presente il proprio obiettivo: nelle situazioni difficili a volte perdiamozen approach di vista il nostro obiettivo e tendiamo a farci coinvolgere emotivamente. Ma come si può portare avanti una strategia se si ha la vista annebbiata? Rimanere focalizzati su ciò che è importante per noi è una tecnica non semplicissima ma utile e efficace.

4. Utilizzare un approccio assertivo: con il comportamento assertivo è possibileassertiveness affrontare le persone aggressive gestendole con determinazione, tirando loro le orecchie, ma sempre rimanendo nel giusto. L’approccio assertivo è una strategia vera e propria che pone le sue basi sul concetto di “non mi faccio calpestare la mia dignità”e al contempo non calpesto la dignità degli altri”.

 

E se in azienda si ha a che fare con un capo con queste caratteristiche?

Si possono utilizzare i 4 punti sopra elencati per rispondere in maniera adeguata ed efficace gestendo i comportamenti aggressivi e il ruolo gerarchico del proprio interlocutore.

Vediamo come..

  1. Domandarsi quale potrebbe essere il comportamento più utile in una situazione come quella (SERVE A FORZARE L’OGGETTIVAZIONE E AD ABBASSARE LA COMPONENTE EMOTIVA);
  2. Domandarsi cosa si vorrebbe ottenere da quello scambio comunicativo (SERVE PER TENERE A MENTE L’OBIETTIVO);
  3. Pensare a come potrebbe sentirsi il nostro interlocutore in quel momento e quale potrebbe essere il suo stato di difficoltà per reagire in quel modo (ASCOLTO EMPATICO, SERVE PER COMPRENDERE IL PUNTO DI VISTA DELL’ALTRO);
  4. Rallentare la velocità del proprio eloquio forzandosi a parlare lentamente (DOPPIA FINALITA’: MISURARE LE PAROLE E DARE LA PERCEZIONE DI ESSERE CALMI E DETERMINATI);
  5. Fatelo concentrare sugli aspetti positivi (SERVE PER INIZIARE UNA COMUNICAZIONE NON BASATA SUL BOTTA E RISPOSTA). Esempio: “Io sono il capo!” “Bene, è importante avere una figura di riferimento e esperienza nel team. Cosa suggerisci quindi?”.

Questo ultimo punto è importantissimo perché in base ad alcuni studi pubblicati sul Journal of Experimental Social Psychology una persona in posizione di potere che è solita gestire le proprie relazioni con aggressività, ha la tendenza a ridurre il livello di aggressività espressa se riceve dai propri collaboratori consenso ed approvazione appagando il suo bisogno di sicurezza.♥♥

In fin dei conti anche i cattivi hanno un cuore….pitbull

Alla prossima!

 

IL LINGUAGGIO DEL CORPO IN AMBIENTI INTERCULTURALI

NEGOTIATION

Avere una buona competenza linguistica non significa solamente conoscere una lingua straniera ma essere in possesso di conoscenze specifiche anche relativamente agli approcci non verbali di quella cultura.

Non è quindi sono la padronanza del linguaggio che ci rende adatti ad intrattenere rapporti di lavoro o negoziazioni in contesti interculturali, quanto piuttosto padroneggiare la dimensione non verbale (gesti, distanze, contatti fisici e aspetti vocali).

Le diverse culture presentano dei propri segnali non verbali tipici e fra tutti la gestualità è l’aspetto che cambia di più nell’ambito dei differenti paesi, ecco alcune indicazioni utili per chi lavora con persone di culture differenti dalla propria.

okPrendiamo ad esempio  il gesto “ok”,  formato unendo le punte del dito indice e del pollice: esso ha il significato di “va bene” negli Stati Uniti e in Europa settentrionale, ma in Francia indica qualcosa priva di valore (basandosi sulla simbologia del numero zero) e in Giappone simboleggia il denaro (si simula la forma rotonda di una moneta).

Durante una visita di Nixon in Brasile negli anni ’50, i cittadini del posto divennero furiosi dopo che egli indirizzò loro ciò che considerava il segnale di approvazione (ok). Per quella gente il politico americano stava semplicemente offendendoli con un gesto osceno; egli non era stato attento alla differenza culturale sebbene soltanto nella trasmissione di un messaggio non verbale.   

mani giunteAnche il gesto delle mani giunte qui a lato ha significati diversi a seconda della cultura entro la quale lo si compie: può essere letto come preghiera, sottomissione nei paesi occidentali o come forma di saluto in Giappone.

I comportamenti sociali sono il frutto di modelli culturali che stabiliscono le norme di comportamento che gli appartenenti devono seguire. Attenzione quindi ad indicare con un dito perché in Asia è offensivo. Il loro galateo prevede che tutto ciò che viene indicato sia fatto con due mani. Inoltre la modalità digitale è assolutamente da evitare: per salutare non utilizzare strette di mano, baci o abbracci ma solo inchini.

Icosavuoil gesto che invece in Italia utilizziamo per esprimere “cosa vuoi?” con le dita della mano unite verso l’alto, significa “aspetta” nei Paesi Arabi e “ottimo, perfetto” in Turchia. Attenzione anche a mostrare la suola delle scarpe ad un incontro con persone arabe. A noi potrebbe venire naturale, una volta seduti, accavallare le gambe e non pensare al posizionamento del piede, ma per loro, vedere la suola della scarpa è considerato un’offesa perché la suola è a contatto con la sporcizia delle strade.

Il gesto da noi utilizzato per esprimere la “vittoria”, con le dita indice e medio alzate ha vittoriadifferenti interpretazioni: in Inghilterra, Irlanda, Australia e Nuova Zelanda se il dorso è rivolto verso l’interlocutore, significa “vai a quel paese”. Il gesto del pollice verso che da noi significa “va bene”, in Indonesia ha significato di “dopo di te” mentre in Africa e in Estremo Oriente è assolutamente sconsigliato utilizzarlo.

In Grecia occorre fare  moltissima attenzione a tenere il palmo della mano aperta rivolto verso l’altra persona, mentre da noi ha il significato di “no grazie, basta così”,  da loro il gesto, chiamato “moutza”, viene usato per esprimere disgusto, ed è molto offensivo, tanto che per indicare cinque con le mani i Greci sono soliti tenere il palmo rivolto verso se stessi. Nella foto presentata sotto vi è un esempio recente del gesto a giugno 2011 in una manifestazione davanti al Parlamento greco.moutza

Relativamente alle distanze interpersonali, in generale l’invasione all’interno della zona personale potrebbe infastidire alcuni soggetti. Ma non è sempre così, poiché ad esempio nei paesi di lingua araba la violazione dello spazio sociale pubblico è consentita solo tra membri dello stesso sesso che, a differenza di quanto accade in occidente, si parlano a distanze molto ravvicinate e camminano mano nella mano senza che questo venga interpretato con implicazioni omosessuali.

Osservando un incontro d’affari di americani e giapponesi l’elemento prossemico può essere notato anche dai non esperti: i giapponesi tendono ad avvicinarsi (perché abituati a spazi interpersonali più ridotti di circa 25 centimetri) invadendo lo spazio degli americani e costringendoli ad allontanarsi. Da qui le errate reciproche percezioni: gli americani trovano i giapponesi invadenti e prepotenti e i giapponesi trovano gli americani freddi e distanti.

Attenzione quindi ai gesti che fate e documentatevi prima di un importante appuntamento di lavoro….persino l’applauso che è il mezzo di comunicazione non verbale usato per esprimere apprezzamento, in Russia e in Cina viene usato per salutare.

MISUNDERSTANDING

 

       ALLA PROSSIMA!!!

 

 

 

IGNORANZA O INDIFFERENZA?

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Mi capita spesso di trovare in aula alcuni dipendenti demotivati…

Ho compreso che la loro motivazione non è quasi mai data da fattori di tipo economico (aumenti di stipendio, bonus, ecc..) né da fattori legati alla carriera, essi lavorano piuttosto con una bassa motivazione in relazione all’indifferenza aziendale verso le risorse umane.

Cos’è l’indifferenza?

E’ uno stato affettivo neutro che si manifesta con  assenza di considerazione, insensibilità, distacco e freddezza.

E’ lecito vivere relazioni con indifferenza, nella misura in cui non si è interessati alla relazione con alcune particolari persone.

Ma mi domando: qual è l’utilità di mostrare indifferenza verso i propri collaboratori? indifferent.jpg

Non è forse controproducente spingere un collaboratore alla demotivazione e alla frustrazione di una bassa considerazione?

Alcuni manager sono indifferenti per problematiche personali:

  • faticano a entrare in empatia e quindi mancano di coinvolgimento emotivo,
  • vogliono proteggere se stessi
  • hanno una natura fredda e distaccata
  • utilizzano l’indifferenza come strumento di manipolazione (strumento di punizione)

 

Altri manager invece sono indifferenti per ragioni legate al proprio ruolo professionale:

  • ignorano perché pensano che mostrando comprensione, il dipendente potrebbe approfittarne
  • temono che la loro leadership possa essere indebolita da un atteggiamento più “friendly”
  • pensano che essere partecipi e comprensivi con un dipendente possa significare non poter pretendere più nulla da lui
  • sono convinti che il loro ruolo non sia quello di fare “gli assistenti sociali”
  • non hanno mai abbastanza tempo

 

Alcuni invece manifestano un’indifferenza celata da partecipazione, si tratta di altri errori tipici che hanno in comune la mancata considerazione del proprio collaboratore:boss

  • parlano di se stessi e delle proprie esperienze pensando di aiutare
  • vanno direttamente alla soluzione (la propria!) del problema presentato dal collaboratore
  • pensano che aiutare sia FARE e non ASCOLTARE
  • giudicano apertamente il collaboratore screditandolo, mettendo sul ridere ciò che viene presentato.

 

Siete dei capi? Quali di questi errori commettete?

 

Quali errori invece commettono i vostri capi?

ALLA PROSSIMA!!

COME ALLENARE LA PROPRIA AUTOSTIMA

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Le radici della nostra autostima risiedono nella nostra infanzia, dove abbiamo appreso la consapevolezza di essere amati, ascoltati, accettati e riconosciuti dai nostri genitori.

Da piccoli, infatti, avevamo tutti una grandissima fiducia in noi stessi…chi ha figli piccoli può ancora sperimentare, divertendosi, il loro senso di onnipotenza (“vorrei fare il calciatore e l’astronauta!” , “vorrei fare il pittore e lo scienziato!”).

Il comportamento e l’incoraggiamento dei genitori è in tal senso fondamentale perché è da loro che il bambino apprende e costruisce la sua personalità, imparando anche a differenziare il concetto di sé (fare l’astronauta e il calciatore) dalla valutazione positiva di sé (autostima).

L’autostima è solo una parte di ciò che costituisce la totalità del benessere, ma è fondamentale ed agisce come se fosse una lente di ingrandimento messa al contrario che rimpicciolisce l’auto-percezione delle proprie risorse personali.

Cosa succede quando si ha una bassa percezione di sé?

low_self-esteemSuccede che l’idea che abbiamo di noi riesce a condizionare il nostro comportamento e le nostre aspettative verso noi stessi per “auto-confermarci” questa convinzione. L’effetto PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA è il risultato di questo processo ed è capace di generare un circolo vizioso che porta al peggioramento di uno stato interno già negativo in partenza che può quindi soltanto peggiorare: l’aspettativa di un fallimento apre la strada al fallimento che genera nuove aspettative di fallimento, ecc…

Come fare quindi se da adulti ci si ritrova con una bassa autostima?

La buona notizia è che gli esseri umani sono sistemi complessi adattivi, hanno cioè la capacità di cambiare, evolversi e adattarsi nella loro relazione con se stessi e con gli altri…per cui non è mai troppo tardi per allenare la propria autostima!

Poiché l’autostima è una percezione del proprio valore, delle proprie capacità e anche della calimero3propria unicità, si potrebbe iniziare a lavorare sulle convinzioni che ognuno ha di se stesso.

Talvolta si ha una bassa percezione del proprio valore solo in un contesto della propria vita (ad esempio nelle relazioni con il sesso opposto) ma per il resto si è soddisfatti.

Nel mio prossimo seminario del 16 aprile 2016 a Milano verranno presentate alcune tecniche per lavorare sul proprio valore personale rimuovendo gli schemi inconsci che generano l’effetto profezia che si auto-avvera.

Un’esperienza profonda che partirà dall’analisi di ciò che abbiamo vissuto nella nostra infanzia e che ha “minato” la nostra autostima, sino ad arrivare all’empowerment, ovvero alla riprogrammazione della propria mente per creare nuove consapevolezze e una visione positiva di se stessi.

Ecco la locandina!  seminario autostima

Vi aspetto sabato 16 aprile 2016!

Per info e iscrizioni: info@emmecistudio.net