TECNICHE PER GESTIRE LE RIUNIONI

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A tutti sarà capitato di essere in riunione e non solo per motivi professionali: riunioni condominiali, riunioni familiari, riunioni con amici, ecc… e sicuramente le aspettative nelle riunioni fuori dal contesto professionale non equivalgono quelle fatte per motivi di lavoro nelle quali, oltre al bisogno di comprendere “perché si sta facendo quel meeting”,  c’è anche la componente temporale, ovvero: non posso perdere tempo per seguire attività non importanti.

La riunione è uno strumento di comunicazione importante in azienda e la si può definire come un’attività di gruppo tesa a realizzare un obiettivo, frutto dell’interazione dei partecipanti e non ottenibile attraverso sforzi di tipo individuale.

E’ però un’opinione diffusa che le riunioni siano delle perdite di tempo, inefficaci, inefficienti e pesanti.

Le riunioni sono un ottimo momento per aggiornarsi sulle varie attività in corso, per identificare criticità e ritardi e condividere opportunità e miglioramenti ma servono delle tecniche per organizzarle ed affrontarle al meglio.

 Ciò che è più importante per chi organizza una riunione è tenere ben presente il rispetto del tempo altrui pertanto prima di decidere se indire o meno una riunione, sarebbe utile riflettere sui seguenti aspetti:

  1. Ci sono altri modi più rapidi e meno dispendiosi per ottenere lo stesso obiettivo (es. mandare una mail informativa)?
  2. Le persone che realmente devono dare il loro contributo o che devono decidere, possono presenziare?
  3. Le persone che si intendono convocare sono motivate e interessate all’oggetto della riunione?
  4. E’ possibile prevedere dei mini meeting in cui far produrre della documentazione e materiale utile ai fini della riunione che intendo convocare?La riunione risulta efficace quando ci sono i partecipanti che possono dare il contributo di cui abbiamo bisogno e quando non dura troppo tempo (mai superare le 2 ore). Le riunioni-fiume sono sempre vissute molto male dai partecipanti perché vengono considerate come delle grandissime perdite di tempo.

Anche se nella nostra vita professionale abbiamo tenuto decine di riunioni, sarebbe bene non sopravvalutare la nostra capacità a cavarcela in ogni caso e di non sottovalutare aspetti apparentemente secondari come i seguenti:

1.Organizzazione dell’agenda: ogni riunione dovrebbe avere solo un obiettivo, che deve essere comunicato ai partecipanti insieme all’ordine del giorno. Le riunioni con molti obiettivi paiono dispersive, comportano molte divagazioni e generano tra i partecipanti un senso di insoddisfazione e frustrazione. E’ sempre meglio trattare l’argomento più importante all’inizio della riunione perché i partecipanti sono più attenti e concentrati e, non avvertendo ancora la pressione psicologica del tempo trascorso, tendono a discutere meglio e in modo più  approfondito. Spesso invece si ha l’abitudine di trattare all’inizio della riunione i punti  meno importanti per esaurirli velocemente e aver più tempo sugli altri; questo rischia di far perdere più tempo del previsto e fa porre più attenzione su argomenti di scarso rilievo.

2.Definizioni temporali: E’ utile inviare la convocazione in forma scritta (e-mail)  soprattutto per le  riunioni formali ma è preferibile farlo anche per quelle informali per dare la possibilità ai partecipanti di rileggerla con calma. Per le riunioni periodiche, calendarizzate automaticamente, è preferibile inviare una settimana prima un reminder oppure una  telefonata di rinforzo. La convocazione dovrà contenere le seguenti informazioni: la data e il luogo del meeting, l’ orario di inizio e di chiusura lavori, l’elenco dei partecipanti e l’obiettivo della riunione. È una grande forma di rispetto precisare la durata della riunione per consentire alle persone di pianificare le loro attività a seguire. In alcune aziende mi è capitato di leggere alcune convocazioni a riunioni in cui l’appuntamento era fissato in modo vago per “la tarda mattinata” oppure per “il primo pomeriggio”….indicazioni del tutto soggettive che non avranno sicuramente portato a iniziare ad un orario ben preciso con tutti i partecipanti presenti.

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La gestione dei tempi della riunione è nelle mani del soggetto organizzatore che deve rispettare  l’agenda concordata con i partecipanti, questo non significa che non possa farsi aiutare dai partecipanti a mantenere le giuste tempistiche per ogni argomento. Nominare un timekeeper può risultare utile per coinvolgere i partecipanti e assegnare ruoli motivazionali a tutti.

3.Numero e tipologia dei partecipanti: bisogna invitare solo le persone direttamente interessate all’oggetto del meeting o coloro che possono dare un contributo. Invitare alcune persone solo “per non farle rimanere male” è un grosso errore perché coloro che non sono interessati si annoierebbero, non parteciperebbero come vorremmo e nel caso peggiore creerebbero disturbo.

4.Ambiente e logistica: La prenotazione della sala riunioni è un punto fondamentale perché capita spesso di voler iniziare una riunione e scoprire che la sala è già occupata da altri colleghi; quello che di solito accade è che ci si raggruppa nell’ufficio più spazioso di proprietà di uno dei partecipanti con perdita di tempo e sedute scomode (magari senza una scrivania d’appoggio e nei casi peggiori con persone in piedi o sedute sulle scrivanie). Se si sta organizzando una riunione sistematica (ad esempio uno staff meeting a cadenza mensile) sarebbe bene organizzarla sempre nella stessa sala perché le persone acquisiscono delle zone di comfort che possono aiutare il clima della riunione ed evitare la ricerca “del posto migliore”.

Ultimo aspetto (ma non il meno importante!!) è la gestione dei partecipanti invitati in riunione.  Per l’approfondimento di questo punto si rimanda al post LE  RELAZIONI TRA I PARTECIPANTI DI UNA RIUNIONE.

E TU…SAI ASCOLTARE?

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Quando si parla di comunicazione tutti pensano a qualcuno che parla e pochi invece si concentrano sulla vera competenza alla base della comunicazione: l’ascolto.

Siamo tutti bravi a parlare ma pochi possono dirsi realmente dei bravi ascoltatori.
La capacità di ascolto sta innanzitutto nel sapere cosa significhi realmente ascoltare: trattenersi volontariamente ed attentamente ad udire..prestare la propria attenzione a qualcuno o qualcosa in quanto spunto di riflessione.
 
Ascoltare e sentire sono due attività molto diverse fra loro. Un buon ascoltatore “non sente”…ascolta con partecipazione.
Possiamo classificare le tipologie di ascolto in quattro classi, le prime due non possono ritenersi buone modalità di ascolto, mentre le ultime due sono indubbiamente coinvolgimenti attivi e validi:
  1. ASCOLTO PASSIVO: è quello che mettiamo in atto quando semplicemente udiamo…sentiamo che qualcuno sta parlando ma non ci concentriamo sull’altro. E’ il tipo di ascolto che mettiamo in atto, ad esempio, quando stiamo guardando la TV e qualcuno viene a farci domande.
  2. ASCOLTO SELETTIVO: è il tipo di ascolto in cui “selezioniamo” da quello che ci viene detto solo ciò che ci interessa, lo depuriamo quindi da tutte le informazioni che reputiamo non valide. E’ il tipo di ascolto che mettiamo in atto quando abbiamo a che fare con interlocutori logorroici oppure quando siamo prevenuti sul nostro interlocutore.
  3. ASCOLTO RIFLESSIVO: è un buon tipo di ascolto e consiste nel riformulare (riflettere…mirroring..) al proprio interlocutore ciò che si ha compreso. La riformulazione che si apre con frasi tipo: “Quindi se ho capito bene…” ” Mi stai quindi dicendo che..” è utilissima perché riesce a dare l’immediata percezione all’altro che è avvenuto un ascolto interessato. Fare chiarezza con le nostre parole e la nostra logica mentale può anche aiutare il nostro interlocutore a comprendere meglio ciò che aveva detto perché è come se lo rivedesse messo in ordine. Attenzione solo a non metter in bocca al proprio interlocutore parole o significati che non ha detto o non voleva dare. Per questo dovremmo esercitarci un po’ a non essere giudicanti.
  4. ASCOLTO ATTIVO: è l’ascolto in cui si ascolta sino in fondo, senza interrompere incoraggiando il proprio interlocutore. Incoraggiare significa cogliere i punti in cui ha dato enfasi (con lo sguardo, con la voce, con i gesti..) e fare domande per capire meglio e invitarlo a continuare.
Per essere veramente efficace un ascolto dovrebbe essere reattivo ed empatico!
Reattivo nel senso che prevede continui feedback che hanno l’obiettivo di “rinforzare” l’interlocutore all’approfondimento;  Empatico perché deve porsi l’obiettivo di mettere l’altro a proprio agio, a non farlo sentire giudicato e a instaurare un rapporto di fiducia.
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Saper ascoltare significa possedere, oltre al proprio, il cervello degli altri.  (Leonardo da Vinci) 

LA COMUNICAZIONE E’ LA CHIAVE

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Comunicare con successo non significa raggiungere tutti i propri obiettivi ed essere dei perfetti oratori, quanto piuttosto migliorare i rapporti interpersonali attraverso l’ascolto, l’osservazione e la calibrazione del nostro interlocutore.

Ecco la chiave: l’intenzionalità dell’osservatore a cogliere tutte le informazioni decodificabili attraverso lo guardo e l’ascolto.

Quindi parole e gesti (da osservare ed ascoltare con attenzione) sono le due componenti essenziali della comunicazione, ossia il linguaggio verbale e quello non verbale.

Comunichiamo tutti i giorni e lo facciamo con gli strumenti e le modalità che abbiamo appreso con l’esperienza…ma siamo certi di farlo bene?

La competenza linguistica non basta per poter affermare di essere bravi comunicatori, LA COMUNICAZIONE E’ IN REALTA’ RELAZIONE INTERPERSONALE, che significa che in ogni atto comunicativo passiamo un messaggio con le parole e uno con il corpo e con la voce.

Se i due messaggi (che arrivano contemporaneamente al nostro ricevente) sono congruenti fra loro, il ricevente ha una chiara idea di cosa abbiamo voluto comunicare anche in termini di relazione ma se non lo sono, il nostro ricevente è portato a credere di più a “come ho parlato” rispetto a “ciò che ho detto”..

MEHRABIAN

La spiegazione a questa ricorrente situazione la fornisce Albert Merahbian che spiega come i codici verbali (contenuto), non verbali (gesti) e paraverbali (tono della voce) non si equivalgono ai fini dell’impatto sull’interlocutore[1].

Gli aspetti non verbali e paraverbali sono nettamente più importanti in termini di “impressione comunicativa” e pesano il 93% dell’atto comunicativo.

INTERESSANTE, VERO?

[1] A. Mehrabian (1972) Non Verbal Communication, Aldine Publishing Co., Chicago