DIMMI COME SCRIVI…

scrivere

Lo sapete che la scrittura rivela la nostra personalità e le nostre inclinazioni?

Se durante un colloquio di lavoro, l’esaminatore vi dovesse chiedere di scrivere in dieci righe circa una descrizione di voi, non allarmatevi… è una pratica ormai diffusa quella di analizzare la grafia dei candidati.

La grafologia è una disciplina complessa che studia il gesto grafico (la nostra scrittura) evincendone molti lati di noi e del nostro carattere. Nello specifico, una competente analisi della scrittura serve a :

  • Rivelare il carattere di una persona (se è socievole o solitaria, generosa o avara, spontanea o razionale, impulsiva o controllata ecc..)
  • Rivelare il livello di intelligenza (se il suo pensiero è veloce o lento, profondo o superficiale, astratto o concreto, ecc..)
  • Rivelare le risorse professionali e le attitudini.

Quali sono gli aspetti da considerare nell’ interpretazione della scrittura? Eccone alcuni.

  • La pressione che viene esercitata sul foglio con la penna è un primo facile elemento di osservazione ed è indice della virilità ma anche di stati d’animo ansiosi e nervosi. Si riconosce perché, se passiamo le dita sul retro del foglio, ne percepiamo i solchi profondi. Chi scrive facendo molta pressione racconta di sé come una persona che prende le cose sul serio e trasferisce un carattere rigido e volubile. Chi scrive a tratto leggero, invece, comunica sensibilità e compassionevole, anche se può non essere molto vivace o energico.

grafologia pressione.jpg

  • L’inclinazione (o la pendenza): è indice di dove l’individuo pone il suo centro di gravità: dentro di sé o fuori di sé e può essere dritta, inclinata verso destra o inclinata verso sinistra. L’assenza di pendenza, rivela una personalità equilibrata, razionale, diplomatica, orientata al presente. La scrittura inclinata verso sinistra rivela una personalità tendente alla riservatezza, diffidente, che non si mostra agli altri, orientata al passato. La scrittura pendente verso destra rivela invece una personalità aperta verso gli altri, socievole, orientata al futuro, che cerca di provare nuove esperienze e di fare nuovi incontri, ottimista. **A questa regola esiste un’eccezione. Se chi scrive è mancino, occorrerà analizzare le inclinazioni a destra e sinistra e ciò che comunicano all’inverso**

 grafologia inclinazione.jpg

  • La distanza fra le parole scritte fornisce altre utili informazioni su chi scrive e si valuta osservando lo spazio tra una parola e quella seguente.  Chi scrive ammassando le parole ravvicinandole molto fra loro, trasmette una mancanza di visione panoramica, scarso spirito critico, può essere sintomo di disordine e di uno stato mentale in perenne agitazione. La persona che scrive agisce senza pensare troppo alle conseguenze delle sue parole e dei suoi comportamenti. Spesso è ingenua, imprudente, impulsiva e non gradisce rimanere sola. Probabilmente sceglie di circondarsi sempre di molte persone e potrebbe avere dei problemi a rispettare la distanza personale altrui. Chi invece scrive tenendo una buona distanza fra le parole ama l’indipendenza e gli spazi aperti. Non apprezza essere soffocata e dà valore alla propria libertà. Spesso questo segno rivela una forte tendenza alla critica (che sfocia facilmente nell’ipercritica) sia verso gli altri che verso di sé.

grafologia distanza

  • La dimensione delle lettere rivela il tipo di rapporto che ci lega con gli altri, ovvero comunica quanta importanza il soggetto attribuisce agli altri e a se stesso. Indica anche quanto è grande il bisogno di spazio interiore. Se il soggetto ha la tendenza a scrivere con una calligrafia piccolissima, è una persona in grado di godere delle piccole cose della vita e capace di focalizzarsi sui dettagli. Sicuramente è una persona introspettiva, meticolosa e di attenta concentrazione. Se invece ha la tendenza a scrivere lettere grandi, è una persona estroversa, socievole, che ama essere al centro dell’attenzione.

grafologia dimensione

write blog

Questi i principali indicatori. Mi sono posta l’obiettivo di scrivere un post successivamente con altre indicazioni su cosa comunicano le firme, le singole lettere e analizzare scritture di persone famose. 

 

Alla prossima!!


Per chi volesse approfondire, ecco due testi che ho trovato molto utili:

Grafologia. Corso pratico per analizzare la personalità interpretando la scrittura di  C.Chinaglia, A.Davia, L’Airone Editrice, Roma

Come riconoscere un manager dalla scrittura di C. Poma, Franco Angeli Editore, Milano

PERCHE’ DELL’EMERGENZA EMOTIVA NESSUNO PARLA?

sadness

Nei momenti difficili che stiamo vivendo si sentono e si leggono richieste di aiuto e di bisogno di supporto che hanno forme diverse.

Una cosa accomuna tutte le richieste: il bisogno di esprimere, di far uscire da sé qualcosa che fa male, che sembra non funzionare come dovrebbe.

E’ in questi momenti che ci si può rivolgere a un esperto di benessere ed empowerment: il counselor.

Una professione, il counseling, che muove i suoi primissimi passi all’inizio del 900 nell’ambito educativo e professionale, avente radici nella pedagogia (non nella psicologia) e nell’applicazione delle sue metodiche.

Parliamo dunque di più di un secolo di storia, di contenuti in elaborazione ed evoluzione e di integrazioni che portano questa professione di supporto ad assumere una funzione e un significato diverso nel tempo fino a rappresentare il più antico “approccio” tra la maggior parte delle correnti della psicologia contemporanea.

counselingOggi il counseling riguarda il benessere, l’educazione, la crescita personale, la carriera e le situazioni di empowerment e si estende fino ad approdare in aree che coinvolgono problemi relazionali, di conflitto, all’interno di sistemi diversi.

Per fare un esempio: se una coppia ha problemi relazionali, o se i genitori hanno costanti conflitti con figli adolescenti, o ancora, non riescono a gestire e contenere i “capricci” di bambini piccoli, ci si può rivolgere ad un counselor, meglio ancora se di formazione sistemica.

Anche nel contesto aziendale può nascere la necessità di un supporto di questo tipo: le incomprensioni tra colleghi possono generare conflitti, annullando l’ascolto e l’empatia tra le parti. In questo caso, come i precedenti descritti, il sostegno del counselor si traduce in un intervento di guida e di facilitazione di consapevolezze e apprendimenti concreti per stare meglio in quelle “relazioni” disfunzionali.

L’elemento significativo che contraddistingue questa meravigliosa professione è il focus posto proprio sul processo dinamico, sul Come!

Il counseling è condotto dunque con persone attraverso sessioni individuali o di gruppo.

counseling 2L’attività di counseling implica scelte e cambiamenti. E’ come se fosse “una prova generale dell’azione” che poi sarà la persona a mettere in atto attraverso quel processo iniziato con il counselor e che prende il nome di “autodeterminazione”.

Durante il colloquio di counseling non avviene nessuna forzatura, le decisioni prese avvengono sempre sotto il “dominio” del cliente, che in buona parte arriva in autonomia a fornire alternative valide per sé e i suoi bisogni.

Tra le tante descrizioni che si possono fare di questa professione di aiuto, mi sono imbattuta in una narrazione breve sull’etimologia.

La parola Counseling la ereditiamo del verbo inglese «to counsel» la cui origine latina è quella del verbo «consulo-ere» che significa «sollevare insieme», essendo composto dalla primitiva «cum» che significa «con», «insieme» e dal verbo «solĕre» che significa «alzare», «sollevare». formica

E’ un significato che spiega il senso profondo del contributo del counselor per le persone che sentono di non stare bene dove sono, o come sono o con chi sono, e vorrebbero sollevarsi verso una “dimensione” di se e dello stare con se e con gli altri semplicemente diverso, praticamente migliore!

Per conoscere altri ambiti del counseling, scriveteci!

Articolo di Simona Cianchetti                                                                                           (Counselor, Coach PCC)

 

RISPONDI A QUESTA DOMANDA: FAI UN LAVORO CHE TI PIACE E CHE TI DA’ CERTEZZE?

how-to-complain

 

Confucio disse “fai un lavoro che ti piace e non dovrai lavorare un sol giorno nella tua vita”..

Utopia o realtà?

Domanda difficile, mi rendo conto..

Ma soffermiamoci per un momento a pensare al nostro lavoro, a come ci sentiamo quando inizia l’orario lavorativo, all’ambiente in cui lavoriamo, ai colleghi.

Se le sensazioni non sono così positive, forse c’è già una risposta.

Potrebbe essere successo che la strada che ci ha portato a fare il nostro attuale lavoro, non sia stata guidata dalla motivazione ma da altri fattori, quali spinte genitoriali, valutazioni logistiche, sicurezza, stabilità, status sociale.

Per molti anni la nostra società ha funzionato in base al criterio: finisco di studiare, mi trovo un lavoro serio; mi impegno e faccio carriera; vado in pensione. Ormai sappiamo, però, che questo bel piano non funziona più, nel tempo è diventato inadatto alle trasformazioni che la nostra società ha messo in atto negli ultimi anni.

Non solo.

Questa epidemia mondiale ci ricorda quanto sia incerto e in continuo mutamento il nostro mondo iper-connesso e sta mettendo in crisi le certezze “del posto fisso”.

Oggi più che mai le nostre carriere possono seguire traiettorie che non sono più lineari e semplici come un tempo, l’incertezza è un dato di fatto.

Come facciamo a trasformare l’incertezza in un vantaggio?

zen approach

Vediamo come.

Un primo passo è fermarsi (e adesso forse ne abbiamo tutto il tempo).. siamo sempre così impegnati a riconoscere gli aspetti materiali del nostro lavoro, da tralasciare quelli emotivi.

 

Sembrerà una frase fatta, però “se il successo non è la chiave della felicità, la felicità è la chiave per il successo”!

Un secondo passo è capire cosa ci piacerebbe fare, pensare ai nostri talenti, togliendo il pilota automatico, osservando attentamente il proprio ambiente e diventando pienamente consapevoli di cosa ci renderebbe felici.

Quando si inizia a guardarsi dentro con consapevolezza, si possono trovare nuove strade, o anche riconoscere (e quindi sfruttare) le occasioni che si presentano in ogni momento.

knock knock

Non possiamo aspettare che l’occasione della vita bussi insistentemente alla nostra porta, potremmo non coglierla mai anche se ci è passata accanto.

Al contrario, se impariamo a guardare con occhi positivi e proattivi, se ci chiediamo sempre “cosa c’è di buono per me in questa situazione”, le occasioni non verranno sprecate.

Non dimentichiamo però che ogni azione porta con sé dei rischi, è quindi sempre necessario fare una seria valutazione dei costi/benefici insiti in ogni decisione e scelta. Quali sono i benefici, ma anche quali sono i costi e i rischi che potrei dover affrontare in questa situazione?

Per farlo, è utile sviluppare competenze come curiosità, persistenza, flessibilità, ottimismo e assunzione di rischi. E, soprattutto, fiducia in se stessi, nelle proprie competenze e nella soddisfazione che il lavoro che stiamo facendo sia quello giusto per noi.

James Hillman, psicologo junghiano lo spiega con la metafora bellissima della TEORIA DELLA GHIANDA, nel suo libro Il codice dell’anima. Ne consiglio la lettura. Hillman sostiene che tutti abbiamo un talento innato che ci definisce e che aspetta solo di essere individuato, chiede di essere realizzato per portare felicità ed equilibrio nella nostra vita…

Cosa aspettiamo?

Abbiamo il lavoro giusto e tutte le competenze che ci servono per farlo al meglio?

Se la risposta è no, questi giorni di forzata “immobilità” possono essere il momento giusto per strutturare un piano e capire come ripartire per raggiungere il nostro lavoro ideale.

dream job

Alla prossima!

articolo di  Yara Maria Bravo

 

 

GESTIRE LA CRISI.

CONSIGLI UTILI SUL PIANO PERSONALE E PROFESSIONALE PER CREARE POSITIVITA’ IN QUESTO MOMENTO DI GRANDE INCERTEZZA

coronavirus

Il momento di tensione legato alla diffusione del Coronavirus a livello globale, da un lato costituisce sicuramente una situazione di crisi, ma potrebbe anche essere un importante momento di passaggio evolutivo, nel contesto familiare e professionale.

La crisi è data dallo stato di angoscia e malessere, dalla paura di ammalarsi, dal timore di perdere i propri cari e dalle difficoltà economiche. Inoltre non sapere per quanto tempo perdurerà questo stato di crisi, aumenta ancor di più le paure.

Tutto normale e assolutamente lecito, anche nelle persone con un atteggiamento mentale più ottimista e positivo, occorre però cercare di mantenere la lucidità utile per creare un piano d’azione, prendere le giuste decisioni e essere di supporto (anziché di peso).

Capiamo come.

PER CHI STA A CASA:

stayhome

Come gestire le giornate infinite?

  1. A livello fisico, il primo consiglio è quello di non cambiare di troppo la nostra routine. Andare a letto più o meno allo stesso orario e mantenere la sveglia è utilissimo per ricordare al nostro cervello che ci sono regole quotidiane da rispettare, che il tempo non è dilatato e che occorre pianificare le attività quotidiane con un certo ordine, proprio come si faceva prima quando si aveva poco tempo a disposizione ed eravamo tutti abilissimi maestri di “gioco all’incastro”.
  2. Vestiamoci, laviamoci, prendiamoci cura di noi. Non aiuta rimanere in pigiama tutto il giorno o non farsi la barba. Sembrerà strano, ma questo agevolerà nel nostro cervello un senso di prevedibilità e sicurezza, utilissimo in questo momento!
  3. E con i figli? Stabiliamo orari per i compiti, quelli per il gioco libero e quelli per il gioco “tecnologico”. Creiamo un vero e proprio planning che anche loro possano vedere e rispettare. Ad esempio: dalle 9 alle 10.30 studio, dalle 10.30 alle 11.30 giochi liberi (nascondino, lego, puzzle, bambole, macchinine, ecc.), dalle 11.30 alle 12.30 TV, pranzo, ecc..
  4. friendsPensa positivo! Sembra ovvio, ma non è così scontato.. Dalla negatività non può svilupparsi nulla di positivo, anzi..il rischio è che si generi un loop mentale negativo. Un piccolo esercizio potrebbe essere di pensare, prima di andare a letto, quali sono gli aspetti positivi nella giornata appena conclusa. L’esercizio è utile anche per i bambini, per allenarli al pensiero positivo e al sentimento di gratitudine.

PER CHI LAVORA DA CASA O GESTISCE UN TEAM DA REMOTO:

Virtual-Team-Building-Redbooth-V3

L’emergenza e la paura necessitano di leader che indichino la direzione.

Occorre saper far mantenere la calma e la lucidità a chi lavora con noi, non è facile…ma i capi sono lì anche per questo!

 

  1. Forniamo risposte rapide e sicure: i nostri collaboratori possono avere paura. Non dimentichiamo che, al di là degli aspetti operativi e degli obiettivi aziendali, il nostro compito è quello di preservare il benessere dei chi lavora con noi. Indiciamo riunioni periodiche, comunichiamo la direzione in cui l’azienda si sta muovendo, i prossimi passi, chiediamo loro come si sentono e che bisogni avvertono. Siamo presenti!
  2. Utilizziamo un linguaggio positivo: le parole negative o che possano abbattere (purtroppo, sfortunatamente, tragicamente, ecc..), sono assolutamente da evitare. Il ruolo del capo è di essere incoraggiante e di rasserenare. Sforziamoci di mantenere il giusto atteggiamento.
  3. Manteniamo il contatto con i nostri clienti. In questo momento difficile per tutti, è importante la presenza. Inviamo, attraverso i nostri canali di comunicazione, le modalità in cui possono entrare in contatto con noi e con l’azienda, le modalità in cui stiamo operando. Sottolineiamo la vicinanza, magari mettendoci la faccia in prima persona, questo aiuterà a mantenere alta la fidelizzazione.
  4. dog sleepingCerchiamo di mantenere il più possibile un comportamento proattivo: pensiamo a quali potrebbero essere le proposte da fare a clienti e collaboratori, troviamo nuove idee, manteniamoci attivi e non finiamo “in letargo da quarantena”, perché il rischio è che, una volta finita l’emergenza, si rischi si essere fuori dai giochi.

 

Il periodo difficile finirà prima o poi, approfittiamone per migliorare.

L’incertezza e la paura non generano solo sensazioni negative, ci aiutano e ci incoraggiano a pensare e a reagire!

Qualora però avvertissimo sensazioni di malessere, non c’è niente di male ad alzare la mano, mettere da parte l’orgoglio e chiedere aiuto a un professionista che possa aiutare a gestire la difficoltà.

Contattateci per una sessione di coaching gratuita,

siamo a disposizione!

devodevo

 

 

Basta procrastinare!

tomorrow

Come modificare la cattiva abitudine del rimando?

Sarà successo a tutti almeno una volta nella vita che durante un lavoro importante, un’attività in scadenza, un lavoro domestico, un compito noioso, invece di essere “sul pezzo”, concentrati per terminare nel modo migliore, qualcosa sia sfuggita di mano e l’attività importante abbia lasciato il posto ad altro.

Le conseguenze saranno state la perdita di opportunità,  ritardi,  vivere freneticamente uno stato stressante, il senso di colpa, la rabbia con se stessi.

Ma perché rimandiamo?procrastinating

L’impulso a procrastinare dipende da svariati motivi: a volte entra in gioco perché si hanno talmente tante cose da fare che il cervello cerca una scappatoia, altre invece la pigrizia o la stanchezza vincono sul senso di responsabilità.

Occorre sapere che, per quanto il procrastinare possa sembrare generato da pigrizia o da mancanza di metodo, nel cervello dei procrastinatori cronici operano veri e propri meccanismi biologici inconsci che li portano a rimandare gli impegni e questo avviene in modo più frequente quando ci si sente sovraccarichi.

Paradossalmente il nostro cervello smette di collaborare e mette in atto un programma di boicottaggio. La soluzione semplice per evitarlo è ELIMINARE le attività di sovraccarico, DELEGARE ciò che può essere fatto da altri, NEGOZIARE la priorità con cui evadere le attività.

Un’altra strategia utile è focalizzarsi sulla sostituzione della cattiva abitudine con altre più funzionali, piuttosto che sul combatterla.

Di seguito si propongono alcuni consigli per evitare di cadere nel meccanismo inconscio che ci porta a rimandare:

cubo1.    Prima le cose difficili. Anche se potrebbe scoraggiarci iniziare dalle attività più complesse o impegnative, questa strategia è utilissima per gestire il tempo nel modo migliore. Affrontare le attività difficili come primo obiettivo da portare a termine aiuta il senso di “leggerezza” per le piccole attività che seguono;

2.    sirenaNon lasciarsi sedurre: i pensieri associati all’impulso della procrastinazione sono “seducenti”  (finisco il film e poi mi metto al lavoro, gioco con il cellulare ancora per 5 minuti e poi basta..), ma portano a credere di avere tutto il tempo a disposizione per recuperare le proprie mancanze. Attenzione…sono come il canto delle sirene!;

3devodevo.    Devo, devo, devo..: le imposizioni rendono sgradevole anche il compito meno brutto (devo andare a correre domattina, devo andare in palestra perché ho pagato l’abbonamento e non lo sto utilizzando, dovrei smettere di fumare, non devo mangiare cioccolata, ecc..), perché richiamano alla mente gli obblighi e le responsabilità. Anche le persone più attente e responsabili sono meno motivate quando si auto-impongono qualcosa con questo verbo;

passi4.   “Fare un altro miglio”: se abbiamo un’attività molto grossa da portare a termine, pensare alla totalità della sua gestione ci spaventa e ci potrebbe gettare nello sconforto. Per evitare questa trappola mentale occorre definire piccoli sotto obiettivi e “smarcarli” di volta in volta…ogni passo in più ci renderà vicina la meta e saremo invogliati a non rimandare nulla per chiudere l’attività;

relax5. Trova del tempo per lo svago: riservarsi del tempo per fare attività che divertono di più, più leggere o in generale di svago, è una buona strategia per rimanere focalizzati nel momento del lavoro ed evitare di procrastinare. Benjamin Franklin diceva che la giornata dovrebbe essere suddivisa in tre parti, una dedicata al riposo, una al lavoro e una allo svago. Se riempiamo troppo le nostre giornate di attività impegnative, il procrastino potrebbe essere una strategia di “pausa” messa a punto dal nostro cervello;

ordine6. Lavorare nell’ordine: non si tratta del solito consiglio scontato. E’ fondamentale lavorare nell’ordine per evitare di distrarre l’attenzione in altre attività. L’ordine potrebbe anche essere non solo relativo allo spazio fisico in cui si lavora, ma anche all’ordine e organizzazione mentale delle attività da svolgere;

7. perfezionistaStop ai perfezionismi: la ricerca della perfezione ci porta a perdere tempo che invece potremmo dedicare ad altre attività (che rimandiamo), oppure potrebbe essere un alibi, una scappatoia del tipo “visto che non mi è rimasto abbastanza tempo per completare il lavoro come mi sarebbe piaciuto fare, lo rimando ad un altro momento in cui avrò tutto il tempo necessario”. In questo caso il perfezionismo potrebbe portarci a rimandare all’infinito!

aereo

 

Rompere l’abitudine del procrastinare non è facile, questo è chiaro.

Fare piccoli passi quotidiani per cercare di sopraffare l’abitudine può essere un buon inizio…poi col tempo si vedrà…sempre che non ci si sia messi a pensare ad altro!

😜

 

 

 

 

 

 

LA COMUNICAZIONE NON VERBALE IN CONTESTI INTERCULTURALI

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Comunicare con efficacia non significa raggiungere tutti i propri obiettivi ed essere dei perfetti oratori, quanto piuttosto migliorare i rapporti interpersonali attraverso l’ascolto, l’osservazione e la calibrazione dell’interlocutore. L’osservazione è un elemento da non trascurare soprattutto quando si vuole approfondire l’ambito della comunicazione non verbale.

E’ noto a tutti che comunichiamo non soltanto con le parole ma con un insieme di gesti, sguardi, movimenti del corpo, detto in un’unica parola con il linguaggio non verbale: un tipo di linguaggio assolutamente espressivo da non aver bisogno delle parole.

E, quando ci si relaziona in contesti multi etnici, le parole passano davvero in secondo piano e occorre imparare una nuova tipologia di comunicazione interculturale che, nella sua definizione, vuole rispondere alla domanda: “come fanno a relazionarsi le persone che non hanno esperienze culturali simili?”.

hands interculture.png

Effettivamente le diverse culture presentano dei propri segnali non verbali tipici e fra tutti la gestualità è l’aspetto che cambia di più nell’ambito dei differenti paesi. Facciamo alcuni esempi: relativamente al contatto fisico, in alcuni paesi arabi è naturale che gli uomini si salutino dandosi un bacio sulla guancia o che camminino tenendosi per mano perché in questi paesi il contatto fisico è considerato una forma di rispetto per cui non è bene astenersi dal praticarlo. In altri contesti sociali è considerato “sbagliato”, poco professionale e in alcuni casi estremi osceno.

E ancora, prendiamo il gesto “ok”,  formato unendo le punte del dito indice e del pollice: esso ha il significato di “va bene” negli Stati Uniti e in Europa settentrionale, ma in Francia indica qualcosa priva di valore (basandosi sulla simbologia del numero zero) e in Giappone simboleggia il denaro (si simula la forma rotonda di una moneta). ok.pngCi sono alcuni aneddoti a riguardo, sembra che negli anni ’50, durante una visita di Nixon in Brasile, i cittadini del posto divennero furiosi dopo che egli indirizzò loro ciò che considerava il segnale di approvazione (ok). Per quella gente il politico americano stava semplicemente offendendoli con un gesto osceno; egli non era stato attento alla differenza culturale anche nella trasmissione di un messaggio non verbale.

Ovviamente la scarsa conoscenza di alcune modalità comunicative influenza il rapporto con le altre persone.

Come si può trovare una strada di comunicazione fra le diverse etnie?

Storicamente, quando si faceva fatica a trovare il modo di comunicare con le persone diverse e non era possibile allontanarle, si è cercato di cambiarle, imponendo i propri pensieri e abitudini. In alcuni casi, la diversità spaventava a tal punto che le persone diverse andavano eliminate. Presento questi esempi storici per sottolineare come, nonostante siano passati anni, al giorno d’oggi ci siano ancora resistenze e difficoltà nell’accettare semplicemente le persone per ciò che sono e per i valori che portano. Per riuscirci occorre allenare il sentimento di “sensibilità interculturale”, ovvero la capacità di discriminare e sperimentare con entusiasmo le differenze culturali.

cavemanIn quest’ottica la comunicazione non verbale aiuta. E’ un po’ come tornare nella preistoria e vivere senza le parole, con i gesti, con gli sguardi, con il rispetto degli spazi interpersonali e della fisicità dell’altro e in questa dimensione le persone diventano un pochino più simili.

Si può quindi pensare di favorire l’incontro fra culture attraverso lo studio e la conoscenza della cultura dell’altro. Ci sono molti testi che aiutano in tal senso e che sottolineano alcune aree su cui porre attenzione per evitare errori relazionali.

Portiamo altri esempi: in alcuni paesi diversi dal nostro, esistono grandi differenze tra le due mani (destra e sinistra): la mano sinistra ha un significato negativo e viene usata solo per l’igiene intima, mentre con la destra si mangia e si svolgono la maggior parte delle “azioni pubbliche”. La mano sinistra viene considerata sporca ed è per questo che in alcuni paesi viene amputata la mano destra a seguito di piccoli crimini, per obbligare il reo a vivere solo con la mano “sporca”.

Non soffermiamoci solo ai gesti. Anche la voce e le sue inflessioni vanno allenate: in alcuni paesi orientali, il tono di voce è pacato e il volume è basso, non per timidezza ma per una forma di gentilezza. Questa cultura considererebbe aggressivi e maleducati popoli come gli americani o gli italiani che invece, comunicano con un volume più alto e un tono più squillante. Il silenzio è molto apprezzato in oriente e in India, considerato come una forma di rispetto dei ritmi dell’interlocutore; nella nostra cultura il silenzio viene letto come imbarazzo, incapacità comunicativa o mancanza di attenzione.

Come possiamo trovare, allora in noi stessi gli strumenti necessari ad aprirci a mondi nuovi e comprenderli nel profondo?

Con un’umana empatia. Concetto facile a dirsi ma molto complesso da mettere inempathize pratica. Occorrerebbe iniziare a considerare le altre culture non come “folclore” o forme “primitive”, perché ci riferiremmo alle persone e alle relazioni interpersonali da un’unica prospettiva, la nostra, considerata soggettivamente quella corretta. Non riduciamo l’uomo ad un modello, impariamo a raccogliere con umana curiosità ed entusiasmo ciò che arriva dall’altro.

Ascoltiamo l’altro, osserviamolo e poi ascoltiamoci e comprendiamo cosa evocano certi comportamenti in noi. Cosa ci richiamano, come ci arricchiscono. Guardare con gli occhi di un bambino potrebbe aiutare: i bambini non conoscono razze, ceti sociali, culturalizzazione. Con un sorriso fanno amicizia e poi diventa tutto più facile.

Alla prossima!

LEADERSHIP 3.0 – ALLENARE COMPETENZE EMOTIVE

emotional intelligence

NON CI SONO PIU’ I CAPI DI UNA VOLTA….

Sembrerebbe una frase fatta, come quelle che abbiamo sentito dire (o pronunciato) mille volte…vero?

Proviamo a pensare un momento al nostro capo: è un buon capo?

E noi? Lo siamo?

Se abbiamo come modello di riferimento un nostro “vecchio” capo, dobbiamo convincerci che non possiamo comportarci come lui…non va bene oggi e non otterremmo gli stessi risultati.

Il motivo è che non possono più esistere i capi di una volta perché la società è cambiata e sia le persone che le organizzazioni lavorano in modo diverso.

Le aziende sono diventate fortunatamente sempre più attente alle persone, viste non più come “macchine” ma come UMANE RISORSE, con relazioni, emozioni, talenti e sono quindi considerate importantissime perché rappresentano il valore aggiunto e il più grande vantaggio competitivo aziendale.

Eppure in alcune aziende in cui mi capita di lavorare come consulente, alcuni imprenditori sono fermamente convinti che i risultati aziendali e la gestione del team di lavoro siano un lavoro “di testa e non di cuore”. no no

Lo trovo poco utile e poco funzionale.

 

Nelle aziende del terzo millennio non possono esistere dei semplici manager, servono veri e propri leader,  capaci di raggiungere gli obiettivi facendo leva sulla componente emozionale propria e delle proprie risorse.

Fra i tanti libri che ho letto su questa tematica, ce n’è uno in particolare che secondo me fornisce gli spunti giusti e propone idee innovative sul management, sulla leadership e sulla gestione delle persone.

E’ un testo di Daniel Goleman del 2012 dal titolo  Leadership emotiva: una nuova intelligenza per guidarci oltre la crisi.

 goleman.png

Daniel Goleman, scrittore, psicologo e giornalista statunitense, è autore del best-seller “Intelligenza emotiva” uscito in Italia nel 1995 che descrive come:

 “l’insieme di specifiche capacità – consapevolezza e padronanza di sé, motivazione, empatia e abilità nelle relazioni interpersonali – che permettono di utilizzare le emozioni come un patrimonio di ricchezza straordinaria a vantaggio nostro e della collettività”.

In realtà, come sostiene Goleman, sono proprio le abilità legate agli aspetti emotivi e di relazione a fare veramente la differenza nelle organizzazioni e le competenze tecniche rappresentano abilità di base, necessarie ma non sufficienti, per ricoprire ruoli dirigenziali.

Influenzare emotivamente i propri collaboratori, saperli motivare innescando sentimenti positivi e riuscendo a liberare l’espressione dei talenti delle persone è quello che davvero rappresenta il requisito indispensabile per riuscire a fare la differenza nella gestione dei team di lavoro. 

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I “leader emotivi” esprimono nel modo migliore, secondo Goleman, le capacità proprie dell’intelligenza emotiva riuscendo a metterle pienamente a frutto nella guida dei propri collaboratori.

Una ricerca dell’UCLA (Università di California, Los Angeles) ha rivelato che la percentuale di leadership di successo attribuibile al QI (quoziente intellettivo) è pari al  7% , mentre  il restante 93% del successo deriva da fiducia, integrità, autenticità, onestà, creatività, presenza e adattabilità (in una parola QE – quoziente emotivo).

L’Intelligenza Emotiva è quindi ciò che distingue la performance base da quella di livello superiore, sia nei managers che nei singoli membri del team.

I leader emotivi  (capaci e consapevoli delle proprie emozioni e di quelle altrui) sono in grado di creare un ambiente lavorativo armonioso, positivo ma che possono anche, al contrario (in assenza di questa consapevolezza), renderlo tossico e distruttivo a livello psicologico, inefficace e disfunzionale.

Non è quindi più valida la credenza che nelle organizzazioni le emozioni rallentino i processi di lavoro e il business e che vadano quindi represse o non considerate…occorre cambiare approccio!

E voi? Che tipo di leadership adottate?

 

“Le persone competenti sul piano emozionale – quelle che sanno controllare daniel golemani propri sentimenti, leggere quelli degli altri e trattarli efficacemente – si trovano avvantaggiate in tutti i campi della vita, sia nelle relazioni intime che nel cogliere le regole implicite che portano al successo politico”.

Daniel Goleman

 

DIMMI COME SCRIVI…

scrivere

Lo sapete che la scrittura rivela la nostra personalità e le nostre inclinazioni?

Se durante un colloquio di lavoro, l’esaminatore vi dovesse chiedere di scrivere in dieci righe circa una descrizione di voi, non allarmatevi… è una pratica ormai diffusa quella di analizzare la grafia dei candidati.

La grafologia è una disciplina complessa che studia il gesto grafico (la nostra scrittura) evincendone molti lati di noi e del nostro carattere. Nello specifico, una competente analisi della scrittura serve a :

  • Rivelare il carattere di una persona (se è socievole o solitaria, generosa o avara, spontanea o razionale, impulsiva o controllata ecc..)
  • Rivelare il livello di intelligenza (se il suo pensiero è veloce o lento, profondo o superficiale, astratto o concreto, ecc..)
  • Rivelare le risorse professionali e le attitudini.

Quali sono gli aspetti da considerare nell’ interpretazione della scrittura? Eccone alcuni.

  • La pressione che viene esercitata sul foglio con la penna è un primo facile elemento di osservazione ed è indice della virilità ma anche di stati d’animo ansiosi e nervosi. Si riconosce perché, se passiamo le dita sul retro del foglio, ne percepiamo i solchi profondi. Chi scrive facendo molta pressione racconta di sé come una persona che prende le cose sul serio e trasferisce un carattere rigido e volubile. Chi scrive a tratto leggero, invece, comunica sensibilità e compassionevole, anche se può non essere molto vivace o energico.

grafologia pressione.jpg

  • L’inclinazione (o la pendenza): è indice di dove l’individuo pone il suo centro di gravità: dentro di sé o fuori di sé e può essere dritta, inclinata verso destra o inclinata verso sinistra. L’assenza di pendenza, rivela una personalità equilibrata, razionale, diplomatica, orientata al presente. La scrittura inclinata verso sinistra rivela una personalità tendente alla riservatezza, diffidente, che non si mostra agli altri, orientata al passato. La scrittura pendente verso destra rivela invece una personalità aperta verso gli altri, socievole, orientata al futuro, che cerca di provare nuove esperienze e di fare nuovi incontri, ottimista. **A questa regola esiste un’eccezione. Se chi scrive è mancino, occorrerà analizzare le inclinazioni a destra e sinistra e ciò che comunicano all’inverso**

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  • La distanza fra le parole scritte fornisce altre utili informazioni su chi scrive e si valuta osservando lo spazio tra una parola e quella seguente.  Chi scrive ammassando le parole ravvicinandole molto fra loro, trasmette una mancanza di visione panoramica, scarso spirito critico, può essere sintomo di disordine e di uno stato mentale in perenne agitazione. La persona che scrive agisce senza pensare troppo alle conseguenze delle sue parole e dei suoi comportamenti. Spesso è ingenua, imprudente, impulsiva e non gradisce rimanere sola. Probabilmente sceglie di circondarsi sempre di molte persone e potrebbe avere dei problemi a rispettare la distanza personale altrui. Chi invece scrive tenendo una buona distanza fra le parole ama l’indipendenza e gli spazi aperti. Non apprezza essere soffocata e dà valore alla propria libertà. Spesso questo segno rivela una forte tendenza alla critica (che sfocia facilmente nell’ipercritica) sia verso gli altri che verso di sé.

grafologia distanza

  • La dimensione delle lettere rivela il tipo di rapporto che ci lega con gli altri, ovvero comunica quanta importanza il soggetto attribuisce agli altri e a se stesso. Indica anche quanto è grande il bisogno di spazio interiore. Se il soggetto ha la tendenza a scrivere con una calligrafia piccolissima, è una persona in grado di godere delle piccole cose della vita e capace di focalizzarsi sui dettagli. Sicuramente è una persona introspettiva, meticolosa e di attenta concentrazione. Se invece ha la tendenza a scrivere lettere grandi, è una persona estroversa, socievole, che ama essere al centro dell’attenzione.

grafologia dimensione

write blog

Questi i principali indicatori. Mi sono posta l’obiettivo di scrivere un post successivamente con altre indicazioni su cosa comunicano le firme, le singole lettere e analizzare scritture di persone famose. 

 

Alla prossima!!


Per chi volesse approfondire, ecco due testi che ho trovato molto utili:

Grafologia. Corso pratico per analizzare la personalità interpretando la scrittura di  C.Chinaglia, A.Davia, L’Airone Editrice, Roma

Come riconoscere un manager dalla scrittura di C. Poma, Franco Angeli Editore, Milano

COME MOTIVARE I COLLABORATORI?

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Si legge tanto su come raggiungere gli obiettivi, come gestire i collaboratori, come selezionare e mantenere in azienda i talenti…ma la vera difficoltà per un manager è riuscire a TENERE ALTA LA MOTIVAZIONE DEL PROPRIO TEAM.

Sappiamo bene (perché ci siamo passati) che il capo che ti dice “dovresti essere più motivato!” non aiuta, genera frustrazione, talvolta rabbia…e un collaboratore demotivato è poco performante e non raggiunge gli obiettivi – propri o di team.

Qual è il modo giusto quindi per motivare un collaboratore?

Oggi più che mai, in un momento sociale di crisi economica delle aziende, la motivazione dei collaboratori diventa uno scopo fondamentale e anche un problema, perché sino ad ora si è sempre ricorsi alla ricompensa monetaria. Non sempre però si possono applicare gli incentivi economici, inoltre le statistiche dicono che questi portano risultati modesti e nel breve periodo.

Quali allora le dritte per motivare?

Per arrivarci, ecco i risultati di un’altra indagine rivolta ad un certo numero di dipendenti, volta all’ottenimento delle cause della loro demotivazione in azienda. Alla domanda “cosa ti demotiva maggiormente in una giornata lavorativa?” ecco le risposte, in ordine di importanza:

  1. Il mio capo non mi ascolta. Fa sempre quello che ha in mente.
  2. Il mio capo ha un pessimo carattere, è aggressivo e incapace di fare apprezzamenti.
  3. Ci spreme e poi non mantiene le promesse.
  4. Non ci fa crescere, è poco delegante e trasferisce poco le sue conoscenze.

Mi soffermerei qui….

Cosa si può evincere da questi dati? Sembrerebbe che tutto parta dall’atteggiamento del capo.

MY FAULTDelusi? Perché?

In fin dei conti, se ci spostiamo in ambito sportivo, quando una squadra è poco performante, tutti sono d’accordo nel cambiare il coach..attribuendo a lui la responsabilità dei risultati del team.

Abbiamo avuto invece la possibilità di maturare una nuova e utilissima consapevolezza:

 

GRAN PARTE DELLA LORO MOTIVAZIONE DIPENDE DA NOI!

Chiediamoci allora:

–      Sono un modello per loro?

–      Si sentono importanti nel mio team?

–      Sono bravo a entusiasmarli?

–      Uso un linguaggio positivo e motivante?

–      Sono motivante nel mio comportamento e nelle mie parole?

 

Ecco allora qualche suggerimento per motivare lavorando sul proprio atteggiamento.

  1. DAI RILEVANZA A TUTTI:

RELEVANCEPer creare un ambiente motivante occorre fare il possibile per valorizzare il lavoro dei singoli assicurandosi che ogni collaboratore si senta utile e portatore di “valore aggiunto”. Non c’è cosa peggiore di sapere di fare un’attività poco utile, poco considerata, superflua o di basso interesse per l’azienda.

  1. DELEGA:

delegarI collaboratori che sono già formati e con un’alta seniority aziendale non sono contenti di avere il fiato sul collo o di essere considerati solo dei “passa-carte”. Troppo controllo a volte è controproducente perché avvilisce alcuni e ne deresponsabilizza altri. Dimostra invece ai tuoi collaboratori che ti fidi di loro, che sai che opereranno bene e comunque per il bene dell’azienda, intervieni solo se non raggiungono l’obiettivo che ti eri posto per loro.

  1. RICONOSCI I MERITI NEL MODO GIUSTO

GRATIFICAREIl lavoro del gruppo deve sempre essere valorizzato, apprezzato, monitorato. Gli apprezzamenti generici tipo “Bene!”, “Ben fatto!” e magari anche un “Continua così..”, vengono vissuti come una modalità paternalistica e non come invece il giusto feedback in una relazione professionale paritaria di reciproca stima. Il corretto feedback invece deve essere contestualizzato al risultato ottenuto o all’impegno messo in atto: “Sei riuscito a completare l’attività nonostante tutti gli inconvenienti accaduti, molto bene!”  oppure “il tuo comportamento durante la riunione è stato apprezzato da tutti e molto utile per analizzare la nostra situazione. Per favore, agisci sempre in questo modo!”.

Un buon riconoscimento fa sempre bene: non siate avari nelle lodi!

  1. FAI STARE BENE IL TUO TEAM

HAPPYTEAMPer far lavorare bene qualcuno occorre creargli un contesto sereno, sicuro e disteso. Le persone demotivate spesso lavorano in ambienti tristi o angoscianti. Assicuratevi di aver creato un ambiente giocoso e in cui nessuno si sente pressato o giudicato. Alcuni dipendenti producono poco perché si sentono giudicati nei loro errori e sono stati redarguiti pubblicamente. Create una zona “relax” con frutta fresca, svaghi o altro per consentire alle persone di “staccare” la spina e riprendere con maggiore slancio. Proteggili se sbagliano nei confronti delle altre aree aziendali o dei clienti: un team motivato ha bisogno di un capitano che lo “protegga” sempre.

  1. COMUNICA CON GENTILEZZA E RISPETTO

netiquetteComunicare con gentilezza e rispetto aiuta le persone a sentirsi accettate e sicure e instaura un rapporto basato sulla stima reciproca e sulla fiducia. Un ambiente di lavoro basato sulla paura di una reazione del proprio capo o peggio, sul timore di un’umiliazione non è affatto motivante. Le persone devono poter imparare dai propri errori e devono volere fortemente comprendere i meccanismi che le hanno portate a sbagliare. I modi sgarbati o gli attacchi frontali hanno come unico effetto la creazione di alibi del dipendente, spesso usati come difesa.

  1. DAI LORO UN ESEMPIO DA SEGUIRE

EXAMPLEIniziare la giornata con un bel “Buongiorno!”, con entusiasmo e trasferendo passione per il proprio lavoro è fonte di motivazione nonché di grande esempio. Delega il giusto, ma aiutali quando li vedi in difficoltà..questo li porterà a fare lo stesso fra loro e darsi supporto vicendevolmente. Mangia con loro, non rimanere chiuso in ufficio a lavorare, la condivisione è un momento importante e fornisce al team un modello di vita comune anche fuori del normale orario lavorativo.

Spero di aver fornito qualche utile spunto di riflessione e di azione.

Inizia domani, fai il giro degli uffici e salutali, verifica come stanno, come lavorano…osservali!

Alla prossima!

L’ARTE DEL GENITORE

genitori

Essere dei genitori è diventato difficile.

Non che in passato non lo fosse, ma i nostri genitori avevano a che fare con bambini e adolescenti meno interattivi, oserei dire meno “svegli”.

Le nuove generazioni non amano conformarsi e seguire le regole: da un lato questo è positivo, significa evoluzione, diversificazione, apertura mentale..ma ai poveri genitori chi pensa?

Noi genitori, già alle prese con realtà lavorative complesse e che richiedono sempre più tempo in ufficio, ci troviamo a sentirci spesso sopraffatti dalle situazioni: i compiti, gestione delle regole familiari, le gelosie con gli altri fratelli, l’organizzazione del tempo libero dei bambini e – ciliegina sulla torta –  i conflitti che arrivano già dalla pre-adolescenza.

Come fare a uscirne vivi?parents

Come gestire veramente bene la relazione genitore-figlio imparando a farsi ascoltare e ad ascoltare a nostra volta?

Come farli crescere sereni ed educati?

Quello che noi genitori dovremmo imparare a fare è ciò che apprendiamo in azienda. Avete presente la leadership situazionale? Ovvero, cambiare stile a seconda della fase di maturità del collaboratore.

Ecco, il genitore dovrebbe cambiare atteggiamento nei confronti dei figli in base alla situazione che si sta vivendo o al problema da affrontare. Un approccio sempre direttivo, eccessivamente protettivo o (all’opposto) troppo amichevole, non si presta bene alle diverse fasi di crescita dei nostri figli.

Una sorta di genitore-coach, che si mette davanti, di lato e ad un certo punto dietro il proprio figlio per proteggerlo, per dargli gli strumenti di valutazione indipendente e per lasciarlo andare..

perfect parents.pngQuesto approccio è complesso da gestire dal punto di vista emotivo perché i genitori cercano sempre di aiutare i propri figli evitando loro di commettere errori per non vederli soffrire.

Tuttavia essi dovrebbero quasi concentrarsi di più nel preparare la strada che i figli percorreranno, favorendone attitudini e potenzialità e lasciandoli liberi di scegliere, sostenendo i loro “gesti spontanei” e aiutandoli a riconoscere il proprio sé.

Ma se i figli prendono una strada diversa da quella che si attendono i genitori?

Non c’è da preoccuparsi, essi continueranno sicuramente a vivere i valori che gli sono stati trasmessi e sapranno cavarsela autonomamente con una buona dose di autostima.

***

Questi e altri temi verranno trattati nel mio prossimo seminario sull’ARTE DEL GENITORE a Milano il 13 maggio con altre due colleghe coach Simona Cianchetti e Yara Bravo.

Il seminario si pone l’obiettivo di lavorare sulla consapevolezza dei genitori relativamente alle proprie modalità educative, che riflettono le modalità educative che hanno ricevuto a loro volta e che talvolta rendono difficile questo compito.

Si analizzeranno gli atteggiamenti e le parole errati che potrebbero demolire l’autostima dei figli o incrinare la relazione con essi.

Verranno inoltre forniti strumenti per facilitare la relazione agendo allo stesso tempo su:

  • L’EMOTIVITÀ
  • LA GESTIONE DEL CONFLITTO NEL PERIODO ADOLESCENZIALE
  • L’ACCRESCIMENTO DELLA LORO AUTOSTIMA
  • IL RISPETTO DELLE REGOLE

Ecco la locandina…le iscrizioni sono aperte!!!

locandina genitori