PERCHE’ DELL’EMERGENZA EMOTIVA NESSUNO PARLA?

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Nei momenti difficili che stiamo vivendo si sentono e si leggono richieste di aiuto e di bisogno di supporto che hanno forme diverse.

Una cosa accomuna tutte le richieste: il bisogno di esprimere, di far uscire da sé qualcosa che fa male, che sembra non funzionare come dovrebbe.

E’ in questi momenti che ci si può rivolgere a un esperto di benessere ed empowerment: il counselor.

Una professione, il counseling, che muove i suoi primissimi passi all’inizio del 900 nell’ambito educativo e professionale, avente radici nella pedagogia (non nella psicologia) e nell’applicazione delle sue metodiche.

Parliamo dunque di più di un secolo di storia, di contenuti in elaborazione ed evoluzione e di integrazioni che portano questa professione di supporto ad assumere una funzione e un significato diverso nel tempo fino a rappresentare il più antico “approccio” tra la maggior parte delle correnti della psicologia contemporanea.

counselingOggi il counseling riguarda il benessere, l’educazione, la crescita personale, la carriera e le situazioni di empowerment e si estende fino ad approdare in aree che coinvolgono problemi relazionali, di conflitto, all’interno di sistemi diversi.

Per fare un esempio: se una coppia ha problemi relazionali, o se i genitori hanno costanti conflitti con figli adolescenti, o ancora, non riescono a gestire e contenere i “capricci” di bambini piccoli, ci si può rivolgere ad un counselor, meglio ancora se di formazione sistemica.

Anche nel contesto aziendale può nascere la necessità di un supporto di questo tipo: le incomprensioni tra colleghi possono generare conflitti, annullando l’ascolto e l’empatia tra le parti. In questo caso, come i precedenti descritti, il sostegno del counselor si traduce in un intervento di guida e di facilitazione di consapevolezze e apprendimenti concreti per stare meglio in quelle “relazioni” disfunzionali.

L’elemento significativo che contraddistingue questa meravigliosa professione è il focus posto proprio sul processo dinamico, sul Come!

Il counseling è condotto dunque con persone attraverso sessioni individuali o di gruppo.

counseling 2L’attività di counseling implica scelte e cambiamenti. E’ come se fosse “una prova generale dell’azione” che poi sarà la persona a mettere in atto attraverso quel processo iniziato con il counselor e che prende il nome di “autodeterminazione”.

Durante il colloquio di counseling non avviene nessuna forzatura, le decisioni prese avvengono sempre sotto il “dominio” del cliente, che in buona parte arriva in autonomia a fornire alternative valide per sé e i suoi bisogni.

Tra le tante descrizioni che si possono fare di questa professione di aiuto, mi sono imbattuta in una narrazione breve sull’etimologia.

La parola Counseling la ereditiamo del verbo inglese «to counsel» la cui origine latina è quella del verbo «consulo-ere» che significa «sollevare insieme», essendo composto dalla primitiva «cum» che significa «con», «insieme» e dal verbo «solĕre» che significa «alzare», «sollevare». formica

E’ un significato che spiega il senso profondo del contributo del counselor per le persone che sentono di non stare bene dove sono, o come sono o con chi sono, e vorrebbero sollevarsi verso una “dimensione” di se e dello stare con se e con gli altri semplicemente diverso, praticamente migliore!

Per conoscere altri ambiti del counseling, scriveteci!

Articolo di Simona Cianchetti                                                                                           (Counselor, Coach PCC)

 

RISPONDI A QUESTA DOMANDA: FAI UN LAVORO CHE TI PIACE E CHE TI DA’ CERTEZZE?

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Confucio disse “fai un lavoro che ti piace e non dovrai lavorare un sol giorno nella tua vita”..

Utopia o realtà?

Domanda difficile, mi rendo conto..

Ma soffermiamoci per un momento a pensare al nostro lavoro, a come ci sentiamo quando inizia l’orario lavorativo, all’ambiente in cui lavoriamo, ai colleghi.

Se le sensazioni non sono così positive, forse c’è già una risposta.

Potrebbe essere successo che la strada che ci ha portato a fare il nostro attuale lavoro, non sia stata guidata dalla motivazione ma da altri fattori, quali spinte genitoriali, valutazioni logistiche, sicurezza, stabilità, status sociale.

Per molti anni la nostra società ha funzionato in base al criterio: finisco di studiare, mi trovo un lavoro serio; mi impegno e faccio carriera; vado in pensione. Ormai sappiamo, però, che questo bel piano non funziona più, nel tempo è diventato inadatto alle trasformazioni che la nostra società ha messo in atto negli ultimi anni.

Non solo.

Questa epidemia mondiale ci ricorda quanto sia incerto e in continuo mutamento il nostro mondo iper-connesso e sta mettendo in crisi le certezze “del posto fisso”.

Oggi più che mai le nostre carriere possono seguire traiettorie che non sono più lineari e semplici come un tempo, l’incertezza è un dato di fatto.

Come facciamo a trasformare l’incertezza in un vantaggio?

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Vediamo come.

Un primo passo è fermarsi (e adesso forse ne abbiamo tutto il tempo).. siamo sempre così impegnati a riconoscere gli aspetti materiali del nostro lavoro, da tralasciare quelli emotivi.

 

Sembrerà una frase fatta, però “se il successo non è la chiave della felicità, la felicità è la chiave per il successo”!

Un secondo passo è capire cosa ci piacerebbe fare, pensare ai nostri talenti, togliendo il pilota automatico, osservando attentamente il proprio ambiente e diventando pienamente consapevoli di cosa ci renderebbe felici.

Quando si inizia a guardarsi dentro con consapevolezza, si possono trovare nuove strade, o anche riconoscere (e quindi sfruttare) le occasioni che si presentano in ogni momento.

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Non possiamo aspettare che l’occasione della vita bussi insistentemente alla nostra porta, potremmo non coglierla mai anche se ci è passata accanto.

Al contrario, se impariamo a guardare con occhi positivi e proattivi, se ci chiediamo sempre “cosa c’è di buono per me in questa situazione”, le occasioni non verranno sprecate.

Non dimentichiamo però che ogni azione porta con sé dei rischi, è quindi sempre necessario fare una seria valutazione dei costi/benefici insiti in ogni decisione e scelta. Quali sono i benefici, ma anche quali sono i costi e i rischi che potrei dover affrontare in questa situazione?

Per farlo, è utile sviluppare competenze come curiosità, persistenza, flessibilità, ottimismo e assunzione di rischi. E, soprattutto, fiducia in se stessi, nelle proprie competenze e nella soddisfazione che il lavoro che stiamo facendo sia quello giusto per noi.

James Hillman, psicologo junghiano lo spiega con la metafora bellissima della TEORIA DELLA GHIANDA, nel suo libro Il codice dell’anima. Ne consiglio la lettura. Hillman sostiene che tutti abbiamo un talento innato che ci definisce e che aspetta solo di essere individuato, chiede di essere realizzato per portare felicità ed equilibrio nella nostra vita…

Cosa aspettiamo?

Abbiamo il lavoro giusto e tutte le competenze che ci servono per farlo al meglio?

Se la risposta è no, questi giorni di forzata “immobilità” possono essere il momento giusto per strutturare un piano e capire come ripartire per raggiungere il nostro lavoro ideale.

dream job

Alla prossima!

articolo di  Yara Maria Bravo