ESSERE CAPO E DONNA: LA LEADERSHIP AL FEMMINILE

 

scarpa tacco

Oggi e domani terrò un corso sulla Leadership al femminile.

Cosa significa essere capo e donna? Nei diversi contesti familiare e aziendale le donne dimostrano una maggiore capacità di adattamento e un’ ampia sensibilità.

Esse vantano una serie di ottime qualità manageriali e relazionali: la capacità di affrontare le complessità e gli imprevisti, l’etica nel lavoro, la capacità di condividere le responsabilità riuscendo a valorizzare i propri collaboratori, la velocità nell’apprendimento, l’abilità nel problem solving, la cura dei particolari, la concretezza, l’ordine e la diligenza….

MA….ciò che a volte manca è l’assunzione di un ruolo di leader per la naturale tendenza a non valorizzarsi mai abbastanza o a diventare tiranne!

La donna – capo  è  sicuramente diversa dai colleghi uomini e presenta inevitabili caratteristiche femminili. Inoltre essendo cresciuta in un sistema di valori, di regole, di conoscenze costruito dagli uomini, la donna-capo ha una difficoltà maggiore nel quotidiano, data dall’ambivalenza:

–         Essere se stessa? Mostrando anche i suoi lati più fragili.. oppure

–         Adattarsi a modi e stili più maschili?

 E COSA SCEGLIE SECONDO VOI???  boss donna

E’ vuoto il modello di leadership femminile perché le donne hanno pochi esempi di donne leader da modellare..oggi le donne imitano l’unico modello che conoscono, l’unico esistente e l’unico considerato vincente: quello maschile. Tendono quindi a trasformarsi: assumono una postura, un linguaggio e atteggiamenti che rinunciano alla femminilità, considerata (erroneamente) come sinonimo di fragilità e vulnerabilità.

QUALI SONO LE DIFFERENZE FRA LEADERSHIP MASCHILE E FEMMINILE?

Le donne sono maggiormente orientate alle relazioni e all’aiuto. Non hanno vita facile perché su di loro c’è  uno standard di performance e di risultato atteso superiore agli uomini (sin dai tempi della scuola).

Sono maggiormente portate ad organizzare il lavoro in modo strutturato, ad assicurarsi che il compito venga eseguito e a motivare per la sua corretta esecuzione.

Hanno maggior capacità di trasmettere entusiasmo, di coinvolgere gli altri e dimostrano di essere maggiormente preoccupate degli altri e della loro crescita, sono più portate per sviluppare strette relazioni lavorative.

Gli uomini sono molto più orientati al risultato e hanno sviluppato la capacità ad avere approcci più strategici. Sono maggiormente aperti alle nuove idee e si assumono più facilmente dei rischi.

Sono più inclini ad imparare le lezioni dal passato e a trovare nuove vie per cambiare il futuro. Non sono molto portati al multitasking. Paradossalmente alcuni dei più importanti leader mondiali (uomini) hanno unito a questi skills più maschili, l’empatia, l’ascolto, la sensibilità e talvolta la vulnerabilità.

COME ESPRIMERE LEADERSHIP CON IL CORPO?

  • LO SGUARDO: Al lavoro per avere credibilità, non essere fraintese ed essere prese sul serio occorre imparare a usare lo sguardo giusto per comunicare autorevolezza e non è fonte di ambigue interpretazioni. Per dare la percezione di mostrare interesse, trasmettere autorevolezza e non essere sfidanti, non si possono superare i 3 secondi di sguardo “occhi – negli – occhi”.
  • LA TESTA : Inclinare troppo la testa o annuire più del necessario è una abitudine tipicamente femminile. Questa postura si può usare per dimostrare attenzione, pertesta storta incoraggiare qualcuno a continuare ma per dare l’immagine di una donna sicura di sé o per trasmettere la spinta decisionale la testa va tenuta dritta e ferma in posizione neutra. Il collo è da sempre associato con le emozioni umane e quando pieghiamo la testa, stiamo emettendo un messaggio amichevole.  Nel mondo femminile, un tale cenno viene automatico quando si nota qualcosa di estremamente carino o tenero o quando stiamo dimostrando la nostra attenzione agli altri. In materia di comunicazione non verbale, la testa inclinata è un comportamento di sottomissione.
  •  IL CORPO: La postura tipica delle donne  è quella “a gomitolo”:  si auto-rimpiccioliscono come se avessero timore di rubare spazio tenendo le braccia incollate al corpo, accavallano le gambe, incurvandosi in avanti, occupano poco spazio. Per esprimere leadership occorre espandersi allargando le braccia, tenendo le spalle all’indietro e la testa eretta. Questo comunicherà assertività e fiducia in se stesse e nelle idee che si propongono.
  •  LE MANI: Uomini e donne, nei momenti di stress, usano dei gesti per scaricare la propria tensione e questo non è un male. Le donne ne mettono in atto alcuni tipicamente femminili che possono essere fraintesi con insicurezza e/o sensualità: accarezzarsi le mani,  toccarsi i capelli,  arrotolarsi una ciocca di capelli, giocare con braccialetti e collane o mangiarsi le unghie. Occorre imparare a controllare le mani negli incontri di business per non fare percepire alcun segnale di tensione.
  • LA VOCE: La voce femminile è un arma. Ma anche un arma a doppio taglio! Imitare la voci sensuali o vocine da bambine non va bene in azienda perché la vocina indebolisce la tua credibilità e il tuo potere. Sicuramente si otterrà l’effetto di non intimidire chi sta intorno ma si darà l’impressione di una persona inaffidabile, poco sicura di sé che chiede il permesso di fare e dire invece di affermare la sua presenza e la sua personalità. Impostare la propria voce e se necessario fare un corso di teatro per una voce di maggiore impatto e diaframmatica.
  • IL SORRISO:Sapere quando usare un sorriso non è sempre facile da comprendere e usarlo come una tattica ruffiana per ottenere favori rischia di essere letto male e di attirare le antipatie di colleghi e colleghe. Sorridere troppo spesso può dare un segnale di ‘voglio piacere a tutti‘ e si rischia l’effetto zerbino.  Se si sta dando un feedback negativo a qualcuno evitare di arricchirlo con un sorriso. Lo slow smile (il sorriso lento): secondo alcuni ricercatori il timing di un sorriso fa la differenza. Un sorriso spontaneo non è mai rapido. Se la zona sorriso è solo nell’area bocca (foto 1) è un sorriso finto, che manca di sincerità perché in un sorriso naturale anche gli occhi danno il loro contributo(foto2).

smile julia

  • LA STRETTA DI MANO: La stretta di mano delle donne è spesso timida, debole e questo trasferisce fragilità e poca fiducia in se stesse. Imparare a dare una buona stretta

Ultimo consiglio:  non abdicate alla vostra femminilità e alle vostre caratteristiche di genere. Lavorate un po’ di più sull’autorevolezza e  speriamo che le aziende promuovano un management misto.  Creare un nuovo modello femminile, diverso da quelli esistenti è importante…e per le aziende..il fatto che sia “diverso”  è solo un valore aggiunto!

 

CONFLITTI VERBALI E AGGRESSIVITA’: COME GESTIRE PERSONE DIFFICILI

aggressivo

Un’azienda su sette è ad alto rischio di prepotenze e prevaricazioni, secondo una ricerca di SDA Bocconi in collaborazione con INAIL dei primi mesi del 2016. 

Ma non vale solo per le aziende..

Quando accompagno i miei figli al parco giochi noto come i bambini si mostrano spesso aggressivi e prevaricanti fra loro e guai ad intervenire in un loro litigio, perché si potrebbe scatenare l’ira del suo genitore, ancor più aggressivo e prevaricante del figlio.

Si potrebbe dire, generalizzando, che viviamo in un mondo pieno di persone difficili da gestire: aggressive, maleducate, prepotenti, supponenti, arroganti e superbe.

bad good

La cattiva notizia è che non le cambieremo mai. Non fa parte del nostro ruolo..

La buona notizia è che possiamo apprendere a gestirle interagendo correttamente e senza doverle “subire”.

Perché, se ci avete fatto caso, queste persone non mettono in atto gli stessi comportamenti con tutti ma hanno la tendenza a infierire con alcune tipologie di interlocutori specifici. Si tratta allora di gestire la relazione con queste persone nel modo giusto, utilizzando tecniche comunicative precise e con consapevolezza.

 Vediamone insieme qualcuna:

question mark1. Imparare a rispondere con una domanda anziché di reagire d’istinto: l’attacco verbale è messo in atto volutamente per ferirci ed è normale che la risposta istintiva esca dalla nostra bocca per colpire a nostra volta. Ma fare una domanda al posto del contrattacco ha almeno 4 significati strategici:

  • diventare padroni della conversazione
  • non dargli soddisfazione
  • metterlo nella condizione di dover elaborare una risposta
  • prendere tempo per controllare e gestire le proprie emozioni

2. Mettere in atto un ascolto empatico: chiedetevi il motivo per cui questa persona siempathic listening comporta in questo modo e provate a immaginare cosa potrebbe esserci dietro a comportamenti di questo tipo (insoddisfazione? Malcontento? Rabbia repressa troppo a lungo? Rabbia? Frustrazione?). Questo atteggiamento dovrebbe aiutarvi a relazionarvi in un modo più morbido e comprensivo e questo potrebbe aprire una cooperazione o comunque far diminuire il livello di aggressività dell’altro. Un atteggiamento aperto all’ascolto in una relazione aggressiva è una bella risposta di forza interiore e consapevolezza e tenderete a destabilizzare la persona difficile.

3. Tenere sempre presente il proprio obiettivo: nelle situazioni difficili a volte perdiamozen approach di vista il nostro obiettivo e tendiamo a farci coinvolgere emotivamente. Ma come si può portare avanti una strategia se si ha la vista annebbiata? Rimanere focalizzati su ciò che è importante per noi è una tecnica non semplicissima ma utile e efficace.

4. Utilizzare un approccio assertivo: con il comportamento assertivo è possibileassertiveness affrontare le persone aggressive gestendole con determinazione, tirando loro le orecchie, ma sempre rimanendo nel giusto. L’approccio assertivo è una strategia vera e propria che pone le sue basi sul concetto di “non mi faccio calpestare la mia dignità”e al contempo non calpesto la dignità degli altri”.

 

E se in azienda si ha a che fare con un capo con queste caratteristiche?

Si possono utilizzare i 4 punti sopra elencati per rispondere in maniera adeguata ed efficace gestendo i comportamenti aggressivi e il ruolo gerarchico del proprio interlocutore.

Vediamo come..

  1. Domandarsi quale potrebbe essere il comportamento più utile in una situazione come quella (SERVE A FORZARE L’OGGETTIVAZIONE E AD ABBASSARE LA COMPONENTE EMOTIVA);
  2. Domandarsi cosa si vorrebbe ottenere da quello scambio comunicativo (SERVE PER TENERE A MENTE L’OBIETTIVO);
  3. Pensare a come potrebbe sentirsi il nostro interlocutore in quel momento e quale potrebbe essere il suo stato di difficoltà per reagire in quel modo (ASCOLTO EMPATICO, SERVE PER COMPRENDERE IL PUNTO DI VISTA DELL’ALTRO);
  4. Rallentare la velocità del proprio eloquio forzandosi a parlare lentamente (DOPPIA FINALITA’: MISURARE LE PAROLE E DARE LA PERCEZIONE DI ESSERE CALMI E DETERMINATI);
  5. Fatelo concentrare sugli aspetti positivi (SERVE PER INIZIARE UNA COMUNICAZIONE NON BASATA SUL BOTTA E RISPOSTA). Esempio: “Io sono il capo!” “Bene, è importante avere una figura di riferimento e esperienza nel team. Cosa suggerisci quindi?”.

Questo ultimo punto è importantissimo perché in base ad alcuni studi pubblicati sul Journal of Experimental Social Psychology una persona in posizione di potere che è solita gestire le proprie relazioni con aggressività, ha la tendenza a ridurre il livello di aggressività espressa se riceve dai propri collaboratori consenso ed approvazione appagando il suo bisogno di sicurezza.♥♥

In fin dei conti anche i cattivi hanno un cuore….pitbull

Alla prossima!

 

IL LINGUAGGIO DEL CORPO IN AMBIENTI INTERCULTURALI

NEGOTIATION

Avere una buona competenza linguistica non significa solamente conoscere una lingua straniera ma essere in possesso di conoscenze specifiche anche relativamente agli approcci non verbali di quella cultura.

Non è quindi sono la padronanza del linguaggio che ci rende adatti ad intrattenere rapporti di lavoro o negoziazioni in contesti interculturali, quanto piuttosto padroneggiare la dimensione non verbale (gesti, distanze, contatti fisici e aspetti vocali).

Le diverse culture presentano dei propri segnali non verbali tipici e fra tutti la gestualità è l’aspetto che cambia di più nell’ambito dei differenti paesi, ecco alcune indicazioni utili per chi lavora con persone di culture differenti dalla propria.

okPrendiamo ad esempio  il gesto “ok”,  formato unendo le punte del dito indice e del pollice: esso ha il significato di “va bene” negli Stati Uniti e in Europa settentrionale, ma in Francia indica qualcosa priva di valore (basandosi sulla simbologia del numero zero) e in Giappone simboleggia il denaro (si simula la forma rotonda di una moneta).

Durante una visita di Nixon in Brasile negli anni ’50, i cittadini del posto divennero furiosi dopo che egli indirizzò loro ciò che considerava il segnale di approvazione (ok). Per quella gente il politico americano stava semplicemente offendendoli con un gesto osceno; egli non era stato attento alla differenza culturale sebbene soltanto nella trasmissione di un messaggio non verbale.   

mani giunteAnche il gesto delle mani giunte qui a lato ha significati diversi a seconda della cultura entro la quale lo si compie: può essere letto come preghiera, sottomissione nei paesi occidentali o come forma di saluto in Giappone.

I comportamenti sociali sono il frutto di modelli culturali che stabiliscono le norme di comportamento che gli appartenenti devono seguire. Attenzione quindi ad indicare con un dito perché in Asia è offensivo. Il loro galateo prevede che tutto ciò che viene indicato sia fatto con due mani. Inoltre la modalità digitale è assolutamente da evitare: per salutare non utilizzare strette di mano, baci o abbracci ma solo inchini.

Icosavuoil gesto che invece in Italia utilizziamo per esprimere “cosa vuoi?” con le dita della mano unite verso l’alto, significa “aspetta” nei Paesi Arabi e “ottimo, perfetto” in Turchia. Attenzione anche a mostrare la suola delle scarpe ad un incontro con persone arabe. A noi potrebbe venire naturale, una volta seduti, accavallare le gambe e non pensare al posizionamento del piede, ma per loro, vedere la suola della scarpa è considerato un’offesa perché la suola è a contatto con la sporcizia delle strade.

Il gesto da noi utilizzato per esprimere la “vittoria”, con le dita indice e medio alzate ha vittoriadifferenti interpretazioni: in Inghilterra, Irlanda, Australia e Nuova Zelanda se il dorso è rivolto verso l’interlocutore, significa “vai a quel paese”. Il gesto del pollice verso che da noi significa “va bene”, in Indonesia ha significato di “dopo di te” mentre in Africa e in Estremo Oriente è assolutamente sconsigliato utilizzarlo.

In Grecia occorre fare  moltissima attenzione a tenere il palmo della mano aperta rivolto verso l’altra persona, mentre da noi ha il significato di “no grazie, basta così”,  da loro il gesto, chiamato “moutza”, viene usato per esprimere disgusto, ed è molto offensivo, tanto che per indicare cinque con le mani i Greci sono soliti tenere il palmo rivolto verso se stessi. Nella foto presentata sotto vi è un esempio recente del gesto a giugno 2011 in una manifestazione davanti al Parlamento greco.moutza

Relativamente alle distanze interpersonali, in generale l’invasione all’interno della zona personale potrebbe infastidire alcuni soggetti. Ma non è sempre così, poiché ad esempio nei paesi di lingua araba la violazione dello spazio sociale pubblico è consentita solo tra membri dello stesso sesso che, a differenza di quanto accade in occidente, si parlano a distanze molto ravvicinate e camminano mano nella mano senza che questo venga interpretato con implicazioni omosessuali.

Osservando un incontro d’affari di americani e giapponesi l’elemento prossemico può essere notato anche dai non esperti: i giapponesi tendono ad avvicinarsi (perché abituati a spazi interpersonali più ridotti di circa 25 centimetri) invadendo lo spazio degli americani e costringendoli ad allontanarsi. Da qui le errate reciproche percezioni: gli americani trovano i giapponesi invadenti e prepotenti e i giapponesi trovano gli americani freddi e distanti.

Attenzione quindi ai gesti che fate e documentatevi prima di un importante appuntamento di lavoro….persino l’applauso che è il mezzo di comunicazione non verbale usato per esprimere apprezzamento, in Russia e in Cina viene usato per salutare.

MISUNDERSTANDING

 

       ALLA PROSSIMA!!!

 

 

 

IGNORANZA O INDIFFERENZA?

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Mi capita spesso di trovare in aula alcuni dipendenti demotivati…

Ho compreso che la loro motivazione non è quasi mai data da fattori di tipo economico (aumenti di stipendio, bonus, ecc..) né da fattori legati alla carriera, essi lavorano piuttosto con una bassa motivazione in relazione all’indifferenza aziendale verso le risorse umane.

Cos’è l’indifferenza?

E’ uno stato affettivo neutro che si manifesta con  assenza di considerazione, insensibilità, distacco e freddezza.

E’ lecito vivere relazioni con indifferenza, nella misura in cui non si è interessati alla relazione con alcune particolari persone.

Ma mi domando: qual è l’utilità di mostrare indifferenza verso i propri collaboratori? indifferent.jpg

Non è forse controproducente spingere un collaboratore alla demotivazione e alla frustrazione di una bassa considerazione?

Alcuni manager sono indifferenti per problematiche personali:

  • faticano a entrare in empatia e quindi mancano di coinvolgimento emotivo,
  • vogliono proteggere se stessi
  • hanno una natura fredda e distaccata
  • utilizzano l’indifferenza come strumento di manipolazione (strumento di punizione)

 

Altri manager invece sono indifferenti per ragioni legate al proprio ruolo professionale:

  • ignorano perché pensano che mostrando comprensione, il dipendente potrebbe approfittarne
  • temono che la loro leadership possa essere indebolita da un atteggiamento più “friendly”
  • pensano che essere partecipi e comprensivi con un dipendente possa significare non poter pretendere più nulla da lui
  • sono convinti che il loro ruolo non sia quello di fare “gli assistenti sociali”
  • non hanno mai abbastanza tempo

 

Alcuni invece manifestano un’indifferenza celata da partecipazione, si tratta di altri errori tipici che hanno in comune la mancata considerazione del proprio collaboratore:boss

  • parlano di se stessi e delle proprie esperienze pensando di aiutare
  • vanno direttamente alla soluzione (la propria!) del problema presentato dal collaboratore
  • pensano che aiutare sia FARE e non ASCOLTARE
  • giudicano apertamente il collaboratore screditandolo, mettendo sul ridere ciò che viene presentato.

 

Siete dei capi? Quali di questi errori commettete?

 

Quali errori invece commettono i vostri capi?

ALLA PROSSIMA!!

COME ALLENARE LA PROPRIA AUTOSTIMA

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Le radici della nostra autostima risiedono nella nostra infanzia, dove abbiamo appreso la consapevolezza di essere amati, ascoltati, accettati e riconosciuti dai nostri genitori.

Da piccoli, infatti, avevamo tutti una grandissima fiducia in noi stessi…chi ha figli piccoli può ancora sperimentare, divertendosi, il loro senso di onnipotenza (“vorrei fare il calciatore e l’astronauta!” , “vorrei fare il pittore e lo scienziato!”).

Il comportamento e l’incoraggiamento dei genitori è in tal senso fondamentale perché è da loro che il bambino apprende e costruisce la sua personalità, imparando anche a differenziare il concetto di sé (fare l’astronauta e il calciatore) dalla valutazione positiva di sé (autostima).

L’autostima è solo una parte di ciò che costituisce la totalità del benessere, ma è fondamentale ed agisce come se fosse una lente di ingrandimento messa al contrario che rimpicciolisce l’auto-percezione delle proprie risorse personali.

Cosa succede quando si ha una bassa percezione di sé?

low_self-esteemSuccede che l’idea che abbiamo di noi riesce a condizionare il nostro comportamento e le nostre aspettative verso noi stessi per “auto-confermarci” questa convinzione. L’effetto PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA è il risultato di questo processo ed è capace di generare un circolo vizioso che porta al peggioramento di uno stato interno già negativo in partenza che può quindi soltanto peggiorare: l’aspettativa di un fallimento apre la strada al fallimento che genera nuove aspettative di fallimento, ecc…

Come fare quindi se da adulti ci si ritrova con una bassa autostima?

La buona notizia è che gli esseri umani sono sistemi complessi adattivi, hanno cioè la capacità di cambiare, evolversi e adattarsi nella loro relazione con se stessi e con gli altri…per cui non è mai troppo tardi per allenare la propria autostima!

Poiché l’autostima è una percezione del proprio valore, delle proprie capacità e anche della calimero3propria unicità, si potrebbe iniziare a lavorare sulle convinzioni che ognuno ha di se stesso.

Talvolta si ha una bassa percezione del proprio valore solo in un contesto della propria vita (ad esempio nelle relazioni con il sesso opposto) ma per il resto si è soddisfatti.

Nel mio prossimo seminario del 16 aprile 2016 a Milano verranno presentate alcune tecniche per lavorare sul proprio valore personale rimuovendo gli schemi inconsci che generano l’effetto profezia che si auto-avvera.

Un’esperienza profonda che partirà dall’analisi di ciò che abbiamo vissuto nella nostra infanzia e che ha “minato” la nostra autostima, sino ad arrivare all’empowerment, ovvero alla riprogrammazione della propria mente per creare nuove consapevolezze e una visione positiva di se stessi.

Ecco la locandina!  seminario autostima

Vi aspetto sabato 16 aprile 2016!

Per info e iscrizioni: info@emmecistudio.net

 

IL VALORE DI UN SORRISO

SMILE

Il sorriso è uno dei più importanti strumenti comunicativi e la sua portata è di forte impatto. Chi sorride entra subito in empatia con l’interlocutore e riesce spesso a contagiarne l’umore. Le persone che sorridono poco (alcuni esempi di personaggi famosi possono trovarsi in Margareth Thatcher, Victoria Adams, Bruce Willis, Hugh Laurie/dottor House, Josè Mourinho, ecc..) paiono scontrose o aggressive.

A livello percettivo, siamo portati ad associare una persona sorridente a stati d’animo positivi, come la simpatia, la cordialità, l’empatia, la disponibilità e l’apertura relazionale.

Più in generale, la capacità di sorridere è un’abilità sociale che trasmette una visione ottimistica ed è un efficace strumento di self-marketing: spesso infatti il sorriso è il primo “biglietto da visita” nei rapporti interpersonali e non solo quelli di vendita.

Se il sorriso è sincero trasmette apertura e gli studi in ambito comunicativo ne sottolineano la potenza in termini persuasivi e seduttivi: un bel sorriso conquista e genera in chi lo riceve, il piacere di instaurare una relazione professionale o personale.

Tuttavia non sempre il sorriso comunica apertura e disponibilità relazionale.

Come fare a riconoscere se un sorriso è sincero o meno?

Ci viene in aiuto l’analisi della comunicazione non verbale che rispetto a questa modalità comunicativa, ci segnala che ci sono essenzialmente due tipi di sorriso: quello vero, spontaneo e quello falso, di circostanza.

Il sorriso vero è aperto, ed è quello in cui si mostrano i denti; generalmente è istintivo ed autentico e porta a socchiudere leggermente gli occhi e far “gonfiare” gli zigomi.

E’ sempre importante che il sorriso sia sincero e non forzato, tuttavia, in alcune situazioni professionali, ci si trova a dover sorridere facendo quello che si dice “buon viso a cattivo gioco” anche se non se ne ha molta voglia. In questo caso manifestiamo finti sorrisi, che possono essere caratterizzati secondo tre diverse tipologie: il sorriso forzato, il sorriso a labbra strette e quello storto.  realvsfakesmile.png

Nella foto a sinistra, il primo sorriso appare naturalmente sincero e presenta le caratteristiche appena descritte, mentre il secondo è finto e forzato.

Possiamo riconoscere il sorriso forzato dal fatto che a ridere è solo la bocca mentre gli occhi hanno un’espressione più o meno indifferente. Un’altra caratteristica del sorriso forzato è quella di essere leggermente più marcato su un lato della bocca (generalmente il lato sinistro).  E’ il tipico sorriso “di rappresentanza” ma non è affatto convincente e il destinatario non ne conserva un buon ricordo.

charlene monaco

Capita anche spesso di vedere alla televisione o sui giornali foto di personaggi famosi o di politici che sorridono a labbra strette. Questo sorriso è classificato tra i sorrisi finti perché rappresenta più un gesto di cortesia e anzi, a volte viene utilizzato per non manifestare palesemente l’antipatia o il disappunto verso l’interlocutore o l’argomento. Anche in questo sorriso gli angoli della bocca si tendono e gli occhi manifestano scarsa emozione.

lady diana

Il sorriso storto viene utilizzato tutte le volte che sorridiamo e comunichiamo nel contempo sarcasmo o scherno. In questo caso il viso presenta la bocca sollevata solo da un angolo lasciando l’altro angolo senza alcuna espressione. Le sopracciglia sono talvolta sollevate e inarcate; per individuare questo tipo di sorriso, occorre essere molto esperti perché questa espressione dura pochissimi secondi. Per comprendere meglio la “falsità” di questo tipo di sorriso, si può coprire con una mano la metà del viso della figura qui a lato e constatare che da un lato si coglie il sorriso mentre dall’altro il viso risulta inespressivo e quasi spento.

L’incapacità di sorridere è un segnale non verbale di evidente chiusura. Si è scoperto che sorridere mette in azione oltre il 50% di muscoli in meno rispetto a quelli che attiviamo quando facciamo il muso o espressioni severe.

Suggerisco di sorridere sempre perché è come se costruissimo un ponte fra noi e gli altri.

Se qualcuno non capisce perché sorridete e considera che (come afferma l’antico detto) “il riso abbonda sulla bocca degli stolti”, non è un buon comunicatore e questo è un problema suo, non vostro!.

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Alla prossima!

 

GESTIRE I PARTECIPANTI DI UNA RIUNIONE

assicurazione-condominio

 

Vi è mai capitato di assistere a litigi durante una riunione in azienda?

Di non comprendere le modalità talvolta poco professionali e poco educate utilizzate?

Immagino che abbiate anche potuto notare come talvolta gli interventi non sono stati solo maleducati e poco professionali ma anche prevaricanti.

Gestire le relazioni tra i partecipanti all’interno di una riunione non è cosa facile, soprattutto se il leader della riunione non è gerarchicamente il capo dei partecipanti. Un team è un microcosmo di caratteri e personalità che, se già possono essere complesse prese singolarmente, in gruppo diventano ancor di più difficile gestione.

Spesso gli atteggiamenti troppo emotivi portano allo sviluppo di dibattiti e di discussioni che non hanno nulla a che vedere con l’agenda del meeting. Questo è fisiologico: ogni invitato presenzia alla riunione portandosi dietro le proprie preoccupazioni, problematiche, simpatie e fa fatica a liberarsene. Molti partecipanti con questi atteggiamenti creano poi gruppi che si perdono nei dettagli e che sono inconcludenti.

Possiamo ricorrere all’aiuto della psicologia della gestione dei gruppi di lavoro perché vi sono alcune dinamiche ripetitive facilmente gestibili; nello specifico si possono identificare le seguenti tipologie di personaggi difficili.

 

question-manIL DOMANDOLOGO: E’ il partecipante che ha bisogno di fare continue richieste di approfondimento. Le domande di per sé sono un segnale di attenzione e di grande interesse (purché poste con toni tranquilli e non polemici), ma in generale si definisce domandologo il partecipante che eccede con le domande e arriva a disturbare gli altri e a farci perdere tempo. E’ importante porsi in maniera simpatica perché questo partecipante è una figura positiva e partecipativa all’interno della riunione, per cui l’ironia non deve essere un rilancio passivo ma una semplice battuta tipo: “come mai non mi hai ancora fatto domande?” accompagnandola con un sorriso e magari con una strizzata d’occhio. Questo tipo di gestione può funzionare meglio in ambienti informali.

 IL LOGORROICO: E’ il partecipante è che lungo e prolisso nei suoi interventi: non possiamo essere certi che sia solo un chiacchierone senza sosta oppure un accentratore, ciò che è importante ai fini della riunione è che i suoi interventi fanno perdere tempo e infastidiscono gli altri partecipanti. In questo caso la leadership deve emergere ed essere ben visibile, altrimenti gli altri partecipanti potrebbero percepire il conduttore come uno senza la capacità di gestione del team e del tempo. Tra l’altro, poiché uno degli obiettivi del leader è quello di fare partecipare tutto il gruppo per poter progredire nei lavori, è fondamentale bloccare gli interventi di questo partecipante. Il leader deve chiedere gentilmente al logorroico di aiutarlo a rispettare i tempi dedicati ai singoli punti in agenda e può rafforzare questa richiesta costituendosi un alleato nel timekeeper che a questo punto dovrà fare il “gioco sporco” è interrompere il logorroico al posto del leader segnalando che non si ha molto tempo residuo.  mormoratore

 

IL MORMORATORE: E’ un partecipante innocuo ma molto fastidioso perché crea un brusio di sottofondo che disturba e inoltre coinvolge nella sua perdita di attenzione anche i colleghi seduti al suo fianco. Bisogna stare attenti a irrigidirsi subito perché nelle riunioni può capitare di dover dire qualcosa nell’orecchio al collega, non per distrazione o mancanza di interesse, ma per il rimando ad aspetti lavorativi utili per i due partecipanti. Il leader deve essere bravo a comprendere se si tratta di chiacchiere finalizzate alla condivisione di aspetti lavorativi, forse fastidiose ma in genere utili ai partecipanti, oppure di mera distrazione. Nel primo caso può tentare di interrompere la chiacchierata e chiedere ai partecipanti coinvolti se hanno il piacere a condividere i loro spunti con gli altri colleghi. Nel caso di chiacchiere palesemente fatte per disturbare o per mancanza di interesse, occorre che il leader affronti i partecipanti con decisione e autorevolezza chiedendo loro di rispettare la disciplina e se persistono nel loro atteggiamento, dovrà non prestare loro più alcuna attenzione.

 

 

IL SACCENTE: Questo partecipante è difficile da gestire perché oltre all’atteggiamento del “io so tutto” ha anche la convinzione che il leader non sia poi così abile a gestire la riunione. Poiché egli pensa che il suo contributo sia fondamentale, attinente e illuminante per tutti, partecipa attivamente alle riunioni con un atteggiamento talvolta supponente per indicare come le cose dovrebbero essere fatte. Spesso il saccente fa dietrologia, intervenendo con commenti tipo “l’avevo detto io..”, “..se aveste fatto come avevo suggerito la volta scorsa..”.  Il leader può agire in due modi:

  1. Può ringraziarlo pubblicamente per il suo intervento e per la competenza che generosamente sta offrendo a tutti (attenzione a essere credibili con la modalità non verbale!). Il saccente ha bisogno di riconoscimenti in plenaria e quindi una parte di esso verrà gratificata da questo intervento; tuttavia si chiederà se realmente lo avete apprezzato oppure se è un modo per ironizzare sul suo intervento e poiché non ama le prese in giro, tenderà a limitare i commenti nei punti trattati nei minuti successivi;
  2. Un altro modo per gestirlo può essere la strategia di chiedere sempre a lui per primo, prima di prendere una decisione, cosa farebbe. Il saccente, preso alla sprovvista, non riuscirà a formulare una corretta risposta e farfuglierà qualcosa. Questa onta lo terrà tranquillo per i venti minuti successivi.

IL SILENZIOSO: Ci sono tre tipologie di partecipante silenzioso: quello demotivato o disinteressato, quello ostile e quello timido. Gli atteggiamenti e i presupposti sono completamente differenti: il demotivato tende a distrarsi facilmente, a disegnare sul proprio blocco degli appunti, a guardare continuamente l’orologio e/o il cellulare (proprio come se fosse a scuola), l’ostile ha un atteggiamento fisico di chiusura ed è spesso imbronciato mentre quello timido ha atteggiamento evasivi, tende a non guardare negli occhi per il timore di essere coinvolto. Ognuna di queste tre tipologie va gestita in modo diverso dal leader. Con il demotivato il leader dovrebbe innanzitutto se ha fatto bene a convocarlo e se realmente egli può dare un contributo o essere uno degli attori fondamentali per gli argomenti all’OdG. Potrà, nel caso di reale interesse a coinvolgerlo, assumere le stesse strategie da usare con il timido per “tirarlo dentro” nella discussione e avere anche il suo punto di vista. Con il partecipante dal silenzio ostile occorrerà essere cauti e inizialmente non costringerlo a intervenire. Occorrerà osservare bene a livello non verbale se l’ostilità è verso il leader, verso l’argomento trattato o verso un partecipante presente al meeting. Nel corso della riunione può essere utile fargli domande ponendole sotto forma di consiglio: “che suggerimento proponi per questa tematica?”.

IL POLEMICO: E’ un partecipante fastidioso ma non di difficile gestione. La sua mission è di evidenziare tutto ciò che non quadra, trovare il lato negativo delle proposte, osservare da angolazioni pessimistiche le soluzioni avanzate. Ho indicato mission perché il polemico è polemico di natura; non lo fa solo per essere disfattista, talvolta si aspetta anche dei plausi per come è riuscito a trovare così tante problematiche e criticità all’interno di una soluzione apparentemente percorribile. Partendo dal presupposto che talvolta avere all’interno del team “un avvocato del diavolo” può essere utile per stimolare una maggiore creatività negli altri partecipanti, questo tipo psicologico va gestito con cautela. Il leader non deve spazientirsi né renderlo visibile. Egli può ascoltare l’intervento del polemico con attenzione e al termine commentare con una frase tipo “interessante anche se ho qualche perplessità su alcuni punti”. Può essere utile chiedere ad altri partecipanti cosa ne pensano per rafforzare la vostra perplessità ed unire ad essa quella degli altri partecipanti. In questo modo il polemico non si sentirà spalleggiato da nessuno e potrebbe decidere di risparmiare i suoi commenti nei punti successivi.

businessmen-152572_960_720IL CONTRO-LEADER: Il contro-leader è colui che si mette di traverso nei confronti del leader. Potrebbe essere anche saccente e polemico ma ciò che lo differenzia da questi due partecipanti è che i suoi interventi hanno proprio l’obiettivo di attaccare il leader o di sminuirne l’autorevolezza. La comunicazione del contro-leader può essere spigolosa, aggressiva o anche molto calma e pacata (seppure tagliente!). Potrebbe non avercela direttamente con il leader ma semplicemente aver bisogno che i riflettori siano puntati su di lui e non sul leader. Comprendere questa ultima sfumatura è importante: se il contro leader non ce l’ha con il conduttore della riunione ma ha semplicemente bisogno di farsi notare, il leader può assecondarlo in questo suo bisogno, facendolo sentire importante, chiedendogli spesso il suo parere ed evidenziando con gentilezza che avete bisogno di tutti per terminare nei tempi previsti e lasciare i partecipanti agli impegni di lavoro (guardando proprio il contro-leader) importanti e urgenti. Se invece gli attacchi sono frontali e il contro leader sta cercando di fare una guerra aperta con il leader, è bene ignorare le critiche, rispondere sempre ai suoi interventi con domande (“perché?”, “In che senso?”, “come faresti?”) per non dargli pause e rimetterlo continuamente in gioco.

Sicuramente è un duro lavoro… ma una volta che si apprende come fare si avranno grandi soddisfazioni!!

Alla prossima!

 

 

 

 

 

 

COME FORMULARE UNA CRITICA IN MODO ASSERTIVO

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A volte capita di dover muovere delle critiche agli altri e il rischio è quello di generare comportamenti o troppo aggressivi o di scegliere strategie passive per evitare conflitti.

In particolare, quando si esprimono delle critiche si corre il rischio di finire in una modalità aggressiva win-lose screditando, umiliando o ferendo l’altro.

Questo non produce nulla di buono perché le relazioni win-lose non aiutano chi ha vinto…anzi, nel lungo periodo la relazione si ribalterà o porterà ad un lose-lose.

Nella nostra cultura siamo portati a collegare la passività con il genere femminile e l’aggressività con il genere maschile: si accettano quindi comportamenti aggressivi da uomini e si comprendono comportamenti passivi dalle donne. Al contempo, un uomo che produce comportamenti passivi è considerato un’ “ameba” così come una donna aggressiva viene vista come una “strega”.

Il comportamento assertivo prevede atteggiamenti e scelte linguistiche che facilitano le relazioni e non ha genere: è una strategia comportamentale utile a uomini e donne che genera rispetto per gli altri… “tirando le orecchie…gentilmente..”.

Nello specifico è un comportamento sociale caratterizzato da un empatico rispetto di se stessi e degli altri: la persona assertiva sa muovere le critiche partendo da un importante presupposto: voglio il rispetto per me…e per gli altri (senza quindi screditare né aggredire l’altro)!

 COME FARE PER RENDERE DELLE CRITICHE ASSERTIVE?

Ecco alcuni piccoli ma efficaci suggerimenti:

  1. Criticare a quattr’occhi e in privato;Assertion-5
  2. Parlare in modo fermo e tranquillo;
  3. Criticare sempre un comportamento e non la persona e il suo carattere;
  4. Essere specifici e chiari nella critica, argomentando e motivando con dati oggettivi;
  5. Lasciate spazio all’altro per esporre il proprio punto di vista, senza interromperlo;
  6. Concludere con un sorriso e una proposta che rafforzi l’intenzione positiva.

In questo modo saremo soddisfatti di noi e del nostro intervento… inoltre, visto che nella comunicazione ci si condiziona a vicenda, certamente il nostro interlocutore sarà portato, nelle future interazioni con noi, a mettere in atto comportamenti simili, generando una sorta di ASSERTIVITÀ VIRALE!

CHURCHILLCome disse W. Churchill:

“La critica può non essere piacevole, ma è necessaria. Compie la stessa funzione del dolore nel corpo umano. Richiama l’attenzione su uno stato malsano delle cose. Se è ascoltata in tempo, il pericolo può essere evitato; se viene messa da parte, si può sviluppare un morbo fatale.”

CHI DOMANDA, COMANDA….MA ATTENTI AGLI ERRORI!

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Coloro che nella comunicazione sanno porre le domande nel modo giusto, riescono a coinvolgere meglio i propri interlocutori, guidano la conversazione e hanno buone probabilità di risultare convincenti.

Saper porre le domande più adatte nel modo giusto è quindi uno degli strumenti più importanti del processo persuasivo sia per ottenere le informazioni necessarie, sia per guidare la conversazione nel verso che si vuole prendere.

L’utilizzo delle domande ci permette inoltre di dare importanza al nostro interlocutore perché le domande lo pongono al centro dell’attenzione e questo piace sempre molto.

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Poiché è noto il detto che CHI DOMANDA COMANDA, sarebbe utile imparare a fare le domande giuste per mantenere il controllo della comunicazione e esserne convincenti .. le domande mal poste sono uno strumento rischioso: è fondamentale evitare che il proprio interlocutore si senta sottoposto ad un terzo grado.

Potrebbe essere utile addolcire le richieste con parole tipo “Posso cortesemente chiederle…”, “le dispiacerebbe dirmi…”, “Può dirmi per favore….”, ecc.. In particolar modo vorrei concentrarmi con questo post sui 6 errori da evitare quando si fanno le domande:

  1. Fate una domanda alla volta: troppe volte sbagliamo ponendo due o più domande al nostro interlocutore…che senso ha? Vi siete accorti che tanto risponde solo a una? Facciamo un esempio: “Ciao, come stai? Ti disturbo? Sei a casa?” la risposta generalmente è “Ciao, sono in ufficio..”. Poiché difficilmente abbiamo due risposte, concentriamoci sulla domanda per la quale vogliamo ottenere una risposta.
  2.  Ascoltate la risposta: se facciamo una domanda a qualcuno è perché siamo interessati a comprendere il suo punto di vista o a ricevere informazioni al riguardo. Che senso ha non ascoltare la risposta e ripartire dopo pochissimi secondi con una nuova argomentazione? Esempio: “Ciao, come stai? Disturbo?..ti ho chiamato per chiederti…..” E’ vero che alcune persone ci mettono un po’ di tempo per formulare una risposta..ma ognuno ha i suoi tempi… anche questo è rispetto.
  3.  Formulate domande semplici e brevi: la semplicità facilita la comprensione e mette il nostro interlocutore da subito nella posizione di poter elaborare una risposta..senza dover perdere del tempo prezioso per analizzare la richiesta…. Esempio: “Considerando le difficoltà che contraddistinguono al momento presente la nostra realtà aziendale e le nostre aziende competitor, quali sono secondo te i fattori che sembrano interferire con i nostri tentativi concreti di ripresa commerciale e dello sviluppo del business?”.
  4.  Evitate di fare considerazioni all’interno della domanda: la domanda è neutra, non deve contenere assunzioni o giudizi. Questo potrebbe inibire il nostro interlocutore e portarlo a non dare risposte oppure a darle in maniera poco spontanea. Esempio: “Immagino che con tutto quello che hai guadagnato nello scorso anno, tu non abbia alcun problema a valutare questo tipo di acquisto, vero?”. Trovo che sia una formulazione poco corretta e poco etica.
  5. Evitare di fare domande con il “perché..?”: si suggerisce di evitare tale avverbio in quanto esso pone una richiesta troppo esplicita (per cui spesso si rischia di ricevere come risposta un atteggiamento di chiusura) oppure induce il nostro interlocutore a doversi giustificare perché suona come una critica. Abituiamoci allora a sostituirlo con altre formulazioni:

 “Perché hai scelto questo prodotto?” ⇒ “Cosa ti ha spinto verso questa scelta?”

e ancora

“Perché sei così disattento?” ⇒ “Come mai fatichi a mantenere attenzione su questo tema?”.

 

6.Le domande tendenziose: come per il punto 4, anche in questo caso la domanda potrebbe infastidire il nostro interlocutore che leggerebbe un secondo fine nella nostra domanda. Chi pone domande tipo: “Cosa ti suggerisce di fare la tua coscienza?” oppure “Quanto ti sta irritando questa situazione? Sei irriconoscibile..” sembra avere uno scopo preciso nel porre la domanda oppure viene percepito come uno che vuole esercitare un condizionamento sull’altro.

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Non esistono quindi risposte sbagliate ma solamente domande mal formulate…abituiamoci a fare domande che ci possano portare velocemente a ottenere la risposta di nostro interesse, quello che non manipolano la risposta dell’interlocutore e infine quelle che non lo fanno sentire come in un interrogatorio.

E dopo le domande giuste, bisogna iniziare ad ascoltare bene!

SVILUPPARE AUTOSTIMA NEGLI ADULTI E NEI BAMBINI

i love me

La considerazione che abbiamo di noi è forse la componente più importante del nostro benessere, inteso come ben-essere, ovvero stare bene nella propria unicità.

E’ un bel concetto quello di unicità che però si scontra con la nostra vita sociale e con i confronti che talvolta generano critiche o giudizi poco positivi.

Il nostro benessere e la nostra autostima si definiscono quindi su due livelli di percezione: una auto-percezione di sé (data da quello che io penso di me stesso) e da una percezione sociale (data da ciò che gli altri pensano di me).

Le due percezioni, che potremmo chiamare i nostri sé-privato e sé pubblico, si condizionano continuamente a vicenda.. Questo significa che se mi sento efficace, metterò in atto comportamenti di efficacia e verrò percepito come tale dall’esterno. Ma anche: se godo della stima e della considerazione degli altri, aumenterò la mia auto-considerazione di persona degna di stima.

Cosa è successo alle persone che hanno una bassa autostima?

Credono poco in se stesse e non hanno ricevuti grossi riscontri dal mondo esterno? Probabilmente è così…o forse viceversa…

self esteem

Certo è che i genitori giocano un ruolo importante nella formazione dell’autostima dei propri figli e hanno grandi responsabilità nei casi di figli con bassa autostima.

Non è certo facile aiutare un figlio che viene deriso dai compagni per un difetto fisico… è chiaro che la difesa del genitore verrebbe letta dal figlio come “Tu-mi-ami-incondizionatamente-e-accetti-i-miei-difetti…ma-non-vuol-dire-che-non-li-abbia..!”.

Quello che dovremo imparare a fare non è tanto negare o criticare le prese in giro ma aiutare i nostri figli ad una presa di coscienza della propria unicità, che darà le basi all’autostima partendo da parametri oggettivi e non da dettami del cuore.

Esempio:

[figlio]: Mamma, mi prendono in giro perché dicono che non capisco niente in matematica..”

[mamma]: Davvero non capisci proprio niente?

[figlio]: A volte sì…ma non sempre…anzi, a volte sono anche più veloce di loro..

[mamma]: Bene, quindi cosa ti fa stare male di quello che dicono i tuoi amici?

[figlio]: Che mi prendono per stupido..

[mamma]: E tu pensi di esserlo veramente? Hai detto che a volte sei anche più veloce di loro..

[figlio]: No! non lo sono!

[mamma]: Allora perché soffri?genitori figli

[figlio]: Hai ragione..grazie! 

INIZIAMO SUBITO…