LA COMUNICAZIONE NON VERBALE IN CONTESTI INTERCULTURALI

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Comunicare con efficacia non significa raggiungere tutti i propri obiettivi ed essere dei perfetti oratori, quanto piuttosto migliorare i rapporti interpersonali attraverso l’ascolto, l’osservazione e la calibrazione dell’interlocutore. L’osservazione è un elemento da non trascurare soprattutto quando si vuole approfondire l’ambito della comunicazione non verbale.

E’ noto a tutti che comunichiamo non soltanto con le parole ma con un insieme di gesti, sguardi, movimenti del corpo, detto in un’unica parola con il linguaggio non verbale: un tipo di linguaggio assolutamente espressivo da non aver bisogno delle parole.

E, quando ci si relaziona in contesti multi etnici, le parole passano davvero in secondo piano e occorre imparare una nuova tipologia di comunicazione interculturale che, nella sua definizione, vuole rispondere alla domanda: “come fanno a relazionarsi le persone che non hanno esperienze culturali simili?”.

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Effettivamente le diverse culture presentano dei propri segnali non verbali tipici e fra tutti la gestualità è l’aspetto che cambia di più nell’ambito dei differenti paesi. Facciamo alcuni esempi: relativamente al contatto fisico, in alcuni paesi arabi è naturale che gli uomini si salutino dandosi un bacio sulla guancia o che camminino tenendosi per mano perché in questi paesi il contatto fisico è considerato una forma di rispetto per cui non è bene astenersi dal praticarlo. In altri contesti sociali è considerato “sbagliato”, poco professionale e in alcuni casi estremi osceno.

E ancora, prendiamo il gesto “ok”,  formato unendo le punte del dito indice e del pollice: esso ha il significato di “va bene” negli Stati Uniti e in Europa settentrionale, ma in Francia indica qualcosa priva di valore (basandosi sulla simbologia del numero zero) e in Giappone simboleggia il denaro (si simula la forma rotonda di una moneta). ok.pngCi sono alcuni aneddoti a riguardo, sembra che negli anni ’50, durante una visita di Nixon in Brasile, i cittadini del posto divennero furiosi dopo che egli indirizzò loro ciò che considerava il segnale di approvazione (ok). Per quella gente il politico americano stava semplicemente offendendoli con un gesto osceno; egli non era stato attento alla differenza culturale anche nella trasmissione di un messaggio non verbale.

Ovviamente la scarsa conoscenza di alcune modalità comunicative influenza il rapporto con le altre persone.

Come si può trovare una strada di comunicazione fra le diverse etnie?

Storicamente, quando si faceva fatica a trovare il modo di comunicare con le persone diverse e non era possibile allontanarle, si è cercato di cambiarle, imponendo i propri pensieri e abitudini. In alcuni casi, la diversità spaventava a tal punto che le persone diverse andavano eliminate. Presento questi esempi storici per sottolineare come, nonostante siano passati anni, al giorno d’oggi ci siano ancora resistenze e difficoltà nell’accettare semplicemente le persone per ciò che sono e per i valori che portano. Per riuscirci occorre allenare il sentimento di “sensibilità interculturale”, ovvero la capacità di discriminare e sperimentare con entusiasmo le differenze culturali.

cavemanIn quest’ottica la comunicazione non verbale aiuta. E’ un po’ come tornare nella preistoria e vivere senza le parole, con i gesti, con gli sguardi, con il rispetto degli spazi interpersonali e della fisicità dell’altro e in questa dimensione le persone diventano un pochino più simili.

Si può quindi pensare di favorire l’incontro fra culture attraverso lo studio e la conoscenza della cultura dell’altro. Ci sono molti testi che aiutano in tal senso e che sottolineano alcune aree su cui porre attenzione per evitare errori relazionali.

Portiamo altri esempi: in alcuni paesi diversi dal nostro, esistono grandi differenze tra le due mani (destra e sinistra): la mano sinistra ha un significato negativo e viene usata solo per l’igiene intima, mentre con la destra si mangia e si svolgono la maggior parte delle “azioni pubbliche”. La mano sinistra viene considerata sporca ed è per questo che in alcuni paesi viene amputata la mano destra a seguito di piccoli crimini, per obbligare il reo a vivere solo con la mano “sporca”.

Non soffermiamoci solo ai gesti. Anche la voce e le sue inflessioni vanno allenate: in alcuni paesi orientali, il tono di voce è pacato e il volume è basso, non per timidezza ma per una forma di gentilezza. Questa cultura considererebbe aggressivi e maleducati popoli come gli americani o gli italiani che invece, comunicano con un volume più alto e un tono più squillante. Il silenzio è molto apprezzato in oriente e in India, considerato come una forma di rispetto dei ritmi dell’interlocutore; nella nostra cultura il silenzio viene letto come imbarazzo, incapacità comunicativa o mancanza di attenzione.

Come possiamo trovare, allora in noi stessi gli strumenti necessari ad aprirci a mondi nuovi e comprenderli nel profondo?

Con un’umana empatia. Concetto facile a dirsi ma molto complesso da mettere inempathize pratica. Occorrerebbe iniziare a considerare le altre culture non come “folclore” o forme “primitive”, perché ci riferiremmo alle persone e alle relazioni interpersonali da un’unica prospettiva, la nostra, considerata soggettivamente quella corretta. Non riduciamo l’uomo ad un modello, impariamo a raccogliere con umana curiosità ed entusiasmo ciò che arriva dall’altro.

Ascoltiamo l’altro, osserviamolo e poi ascoltiamoci e comprendiamo cosa evocano certi comportamenti in noi. Cosa ci richiamano, come ci arricchiscono. Guardare con gli occhi di un bambino potrebbe aiutare: i bambini non conoscono razze, ceti sociali, culturalizzazione. Con un sorriso fanno amicizia e poi diventa tutto più facile.

Alla prossima!

IL LINGUAGGIO DEL CORPO IN AMBIENTI INTERCULTURALI

NEGOTIATION

Avere una buona competenza linguistica non significa solamente conoscere una lingua straniera ma essere in possesso di conoscenze specifiche anche relativamente agli approcci non verbali di quella cultura.

Non è quindi sono la padronanza del linguaggio che ci rende adatti ad intrattenere rapporti di lavoro o negoziazioni in contesti interculturali, quanto piuttosto padroneggiare la dimensione non verbale (gesti, distanze, contatti fisici e aspetti vocali).

Le diverse culture presentano dei propri segnali non verbali tipici e fra tutti la gestualità è l’aspetto che cambia di più nell’ambito dei differenti paesi, ecco alcune indicazioni utili per chi lavora con persone di culture differenti dalla propria.

okPrendiamo ad esempio  il gesto “ok”,  formato unendo le punte del dito indice e del pollice: esso ha il significato di “va bene” negli Stati Uniti e in Europa settentrionale, ma in Francia indica qualcosa priva di valore (basandosi sulla simbologia del numero zero) e in Giappone simboleggia il denaro (si simula la forma rotonda di una moneta).

Durante una visita di Nixon in Brasile negli anni ’50, i cittadini del posto divennero furiosi dopo che egli indirizzò loro ciò che considerava il segnale di approvazione (ok). Per quella gente il politico americano stava semplicemente offendendoli con un gesto osceno; egli non era stato attento alla differenza culturale sebbene soltanto nella trasmissione di un messaggio non verbale.   

mani giunteAnche il gesto delle mani giunte qui a lato ha significati diversi a seconda della cultura entro la quale lo si compie: può essere letto come preghiera, sottomissione nei paesi occidentali o come forma di saluto in Giappone.

I comportamenti sociali sono il frutto di modelli culturali che stabiliscono le norme di comportamento che gli appartenenti devono seguire. Attenzione quindi ad indicare con un dito perché in Asia è offensivo. Il loro galateo prevede che tutto ciò che viene indicato sia fatto con due mani. Inoltre la modalità digitale è assolutamente da evitare: per salutare non utilizzare strette di mano, baci o abbracci ma solo inchini.

Icosavuoil gesto che invece in Italia utilizziamo per esprimere “cosa vuoi?” con le dita della mano unite verso l’alto, significa “aspetta” nei Paesi Arabi e “ottimo, perfetto” in Turchia. Attenzione anche a mostrare la suola delle scarpe ad un incontro con persone arabe. A noi potrebbe venire naturale, una volta seduti, accavallare le gambe e non pensare al posizionamento del piede, ma per loro, vedere la suola della scarpa è considerato un’offesa perché la suola è a contatto con la sporcizia delle strade.

Il gesto da noi utilizzato per esprimere la “vittoria”, con le dita indice e medio alzate ha vittoriadifferenti interpretazioni: in Inghilterra, Irlanda, Australia e Nuova Zelanda se il dorso è rivolto verso l’interlocutore, significa “vai a quel paese”. Il gesto del pollice verso che da noi significa “va bene”, in Indonesia ha significato di “dopo di te” mentre in Africa e in Estremo Oriente è assolutamente sconsigliato utilizzarlo.

In Grecia occorre fare  moltissima attenzione a tenere il palmo della mano aperta rivolto verso l’altra persona, mentre da noi ha il significato di “no grazie, basta così”,  da loro il gesto, chiamato “moutza”, viene usato per esprimere disgusto, ed è molto offensivo, tanto che per indicare cinque con le mani i Greci sono soliti tenere il palmo rivolto verso se stessi. Nella foto presentata sotto vi è un esempio recente del gesto a giugno 2011 in una manifestazione davanti al Parlamento greco.moutza

Relativamente alle distanze interpersonali, in generale l’invasione all’interno della zona personale potrebbe infastidire alcuni soggetti. Ma non è sempre così, poiché ad esempio nei paesi di lingua araba la violazione dello spazio sociale pubblico è consentita solo tra membri dello stesso sesso che, a differenza di quanto accade in occidente, si parlano a distanze molto ravvicinate e camminano mano nella mano senza che questo venga interpretato con implicazioni omosessuali.

Osservando un incontro d’affari di americani e giapponesi l’elemento prossemico può essere notato anche dai non esperti: i giapponesi tendono ad avvicinarsi (perché abituati a spazi interpersonali più ridotti di circa 25 centimetri) invadendo lo spazio degli americani e costringendoli ad allontanarsi. Da qui le errate reciproche percezioni: gli americani trovano i giapponesi invadenti e prepotenti e i giapponesi trovano gli americani freddi e distanti.

Attenzione quindi ai gesti che fate e documentatevi prima di un importante appuntamento di lavoro….persino l’applauso che è il mezzo di comunicazione non verbale usato per esprimere apprezzamento, in Russia e in Cina viene usato per salutare.

MISUNDERSTANDING

 

       ALLA PROSSIMA!!!

 

 

 

IGNORANZA O INDIFFERENZA?

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Mi capita spesso di trovare in aula alcuni dipendenti demotivati…

Ho compreso che la loro motivazione non è quasi mai data da fattori di tipo economico (aumenti di stipendio, bonus, ecc..) né da fattori legati alla carriera, essi lavorano piuttosto con una bassa motivazione in relazione all’indifferenza aziendale verso le risorse umane.

Cos’è l’indifferenza?

E’ uno stato affettivo neutro che si manifesta con  assenza di considerazione, insensibilità, distacco e freddezza.

E’ lecito vivere relazioni con indifferenza, nella misura in cui non si è interessati alla relazione con alcune particolari persone.

Ma mi domando: qual è l’utilità di mostrare indifferenza verso i propri collaboratori? indifferent.jpg

Non è forse controproducente spingere un collaboratore alla demotivazione e alla frustrazione di una bassa considerazione?

Alcuni manager sono indifferenti per problematiche personali:

  • faticano a entrare in empatia e quindi mancano di coinvolgimento emotivo,
  • vogliono proteggere se stessi
  • hanno una natura fredda e distaccata
  • utilizzano l’indifferenza come strumento di manipolazione (strumento di punizione)

 

Altri manager invece sono indifferenti per ragioni legate al proprio ruolo professionale:

  • ignorano perché pensano che mostrando comprensione, il dipendente potrebbe approfittarne
  • temono che la loro leadership possa essere indebolita da un atteggiamento più “friendly”
  • pensano che essere partecipi e comprensivi con un dipendente possa significare non poter pretendere più nulla da lui
  • sono convinti che il loro ruolo non sia quello di fare “gli assistenti sociali”
  • non hanno mai abbastanza tempo

 

Alcuni invece manifestano un’indifferenza celata da partecipazione, si tratta di altri errori tipici che hanno in comune la mancata considerazione del proprio collaboratore:boss

  • parlano di se stessi e delle proprie esperienze pensando di aiutare
  • vanno direttamente alla soluzione (la propria!) del problema presentato dal collaboratore
  • pensano che aiutare sia FARE e non ASCOLTARE
  • giudicano apertamente il collaboratore screditandolo, mettendo sul ridere ciò che viene presentato.

 

Siete dei capi? Quali di questi errori commettete?

 

Quali errori invece commettono i vostri capi?

ALLA PROSSIMA!!

COME ALLENARE LA PROPRIA AUTOSTIMA

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Le radici della nostra autostima risiedono nella nostra infanzia, dove abbiamo appreso la consapevolezza di essere amati, ascoltati, accettati e riconosciuti dai nostri genitori.

Da piccoli, infatti, avevamo tutti una grandissima fiducia in noi stessi…chi ha figli piccoli può ancora sperimentare, divertendosi, il loro senso di onnipotenza (“vorrei fare il calciatore e l’astronauta!” , “vorrei fare il pittore e lo scienziato!”).

Il comportamento e l’incoraggiamento dei genitori è in tal senso fondamentale perché è da loro che il bambino apprende e costruisce la sua personalità, imparando anche a differenziare il concetto di sé (fare l’astronauta e il calciatore) dalla valutazione positiva di sé (autostima).

L’autostima è solo una parte di ciò che costituisce la totalità del benessere, ma è fondamentale ed agisce come se fosse una lente di ingrandimento messa al contrario che rimpicciolisce l’auto-percezione delle proprie risorse personali.

Cosa succede quando si ha una bassa percezione di sé?

low_self-esteemSuccede che l’idea che abbiamo di noi riesce a condizionare il nostro comportamento e le nostre aspettative verso noi stessi per “auto-confermarci” questa convinzione. L’effetto PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA è il risultato di questo processo ed è capace di generare un circolo vizioso che porta al peggioramento di uno stato interno già negativo in partenza che può quindi soltanto peggiorare: l’aspettativa di un fallimento apre la strada al fallimento che genera nuove aspettative di fallimento, ecc…

Come fare quindi se da adulti ci si ritrova con una bassa autostima?

La buona notizia è che gli esseri umani sono sistemi complessi adattivi, hanno cioè la capacità di cambiare, evolversi e adattarsi nella loro relazione con se stessi e con gli altri…per cui non è mai troppo tardi per allenare la propria autostima!

Poiché l’autostima è una percezione del proprio valore, delle proprie capacità e anche della calimero3propria unicità, si potrebbe iniziare a lavorare sulle convinzioni che ognuno ha di se stesso.

Talvolta si ha una bassa percezione del proprio valore solo in un contesto della propria vita (ad esempio nelle relazioni con il sesso opposto) ma per il resto si è soddisfatti.

Nel mio prossimo seminario del 16 aprile 2016 a Milano verranno presentate alcune tecniche per lavorare sul proprio valore personale rimuovendo gli schemi inconsci che generano l’effetto profezia che si auto-avvera.

Un’esperienza profonda che partirà dall’analisi di ciò che abbiamo vissuto nella nostra infanzia e che ha “minato” la nostra autostima, sino ad arrivare all’empowerment, ovvero alla riprogrammazione della propria mente per creare nuove consapevolezze e una visione positiva di se stessi.

Ecco la locandina!  seminario autostima

Vi aspetto sabato 16 aprile 2016!

Per info e iscrizioni: info@emmecistudio.net

 

E-MAIL BON TON: IL GALATEO PER CHI SCRIVE MAIL

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Da molti anni le mail hanno soppiantato le lettere, i fax e le comunicazioni formali di natura professionale (spesso anche buona parte delle comunicazioni verbali tra colleghi dello stesso ufficio..).

Leggere su un monitor è decisamente più faticoso che sulla carta. La lettura è più lenta del 25% ed è stato calcolato che il 75% degli utenti non legge riga per riga ma scorre il testo. Dobbiamo quindi fare i conti con l’impazienza dell’utente web.

 Per questa sorta di impazienza è fondamentale dare subito la parte importante per catturare l’attenzione e creare un buon “clima comunicativo”.

Sfortunatamente però quest’ultima azione spesso non è tenuta da conto per la velocità nello scrivere una e-mail e perché si pensa che nella comunicazione scritta passino solo le parole e non “i modi”.

 Nel 1995 Sally Hambridge pubblicò un lungo documento relativo all’uso della posta elettronica con l’obiettivo di fornire le fondamentali direttive della netiquette, ovvero delle regole della buona educazione sul web.

Esiste quindi un galateo della rete che vorrei presentare per fornire alcuni dei principi fondamentali a cui attenersi durante la preparazione di una mail per scrivere elegantemente e risultare efficaci e gentili comunicatori.

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1) IL CAMPO OGGETTO: il campo oggetto va sempre inserito perché aiuta a capire in modo immediato il tema del messaggio e la priorità da assegnargli. Ha l’obiettivo di segnalare “in miniatura” ciò che sarà trattato nella mail.  Occorre seguire alcune regole precise:

  • TOGLIERE I RIFERIMENTI ALLE MAIL PRECEDENTI (/r:, /r:,/r:….)
  • INIZIARE CON LETTERA MAIUSCOLA
  • NON SERVE SCRIVERE IN STAMPATELLO
  • NON USARE FRASI GENERICHE O ESPRESSIONI VAGHE (“Recapiti” = Indirizzi fornitori Lombardia ** “ file allegato” = Invio relazione di bilancio 2011 ** “ Bozza” = Bozza mailing per nuovi clienti ** “ Varie” =  Ultima riunione del 10 giugno u.s.: riflessioni)

2) CHIAREZZA DEL LINGUAGGIO: la chiarezza è il risultato di un linguaggio diretto, privo di circonlocuzioni ed espressioni prolisse.  Per esprimersi con chiarezza e valorizzare il testo è utile:

  • NON USARE LA TERZA PERSONA (rende impersonale)
  • NON USARE ESAGERATAMENTE LE MAIUSCOLE (rallentano la lettura)
  • NON ESAGERARE CON LA TERMINOLOGIA STRANIERA
  • USARE LE ABBREVIAZIONI IL MENO POSSIBILE
  • DI NORMA CREARE UN CAPOVERSO OGNI 6/7 RIGHE DI TESTOkiss
  • ATTENERSI ALLA REGOLA DEL KISS = keep it simple and short

 

 

3) SLANG AZIENDALE E PAROLE STRANIERE: usare ove possibile termini nella nostra lingua:  Scadenza e non deadline,  Diagramma e non  chart,  Competenze e non know-how,  Pranzo e non lunch,  Azienda e non Compagnia, ecc..

4) I NUMERI: fino a dieci compreso si scrivono in lettere. Fanno eccezione le date, le indicazioni degli orari e nelle comunicazioni commerciali/economiche i cento/mille, mila, milioni di Euro.

5) USO DEL MAIUSCOLO E DEL GRASSETTO: l’utilizzo del maiuscolo nel testo dei messaggi è assolutamente da evitare: nella rete questo comportamento equivale a URLARE ed è percepito come maleducato e aggressivo.

exclamation mark6) USO DEI PUNTI ESCLAMATIVI E INTERROGATIVI: limitarsi all’utilizzo di un solo punto interrogativo o esclamativo perché nella rete eccedere con questi segni di punteggiatura equivale a URLARE ed è percepito come maleducato e aggressivo.

7) EMOTICONS: deriva da emotion e icons, traducibile in icone emotive. Utili solo in contesti amicali per sdrammatizzare o per contestualizzare. Farne un uso parsimonioso nelle mail professionali e aziendali, inoltre in caso di utilizzo essere certi dei significati che ricoprono.

8) I PUNTINI DI SOSPENSIONE: sarebbero da evitare perché rallentano la lettura, ma se proprio volessimo usare questa modalità per creare una breve interruzione e suspence, utilizzarne sempre tre ( non quattro).

9) LE RISPOSTE: è buona educazione rispondere sempre alle mail per far comprendere al mittente di aver ricevuto e compreso il messaggio. Se si riceve una mail in cc  è buona norma attendere che il sia il destinatario il primo a rispondere. Se non lo dovesse fare in breve tempo, inoltrare una risposta al solo mittente.

10) RILEGGERE IL TESTO: rileggere tutto il messaggio prima di inoltrarlo al destinatario è buona norma per controllare che non vi siano errori grammaticali o di punteggiatura. I messaggi sgrammaticati denotano una mancanza di rispetto verso il destinatario.email-cartoon

Ultimo suggerimento, ma non per ordine di importanza, evitare di utilizzare il mezzo mail per comunicazioni molto personali, urgenti, o di “auguri in serie”. I messaggi di auguri di Natale, ad esempio, mandati a molti destinatari risultano impersonali e generalmente sono poco apprezzati.

Voi che errori fate?

 

GESTIRE I PARTECIPANTI DI UNA RIUNIONE

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Vi è mai capitato di assistere a litigi durante una riunione in azienda?

Di non comprendere le modalità talvolta poco professionali e poco educate utilizzate?

Immagino che abbiate anche potuto notare come talvolta gli interventi non sono stati solo maleducati e poco professionali ma anche prevaricanti.

Gestire le relazioni tra i partecipanti all’interno di una riunione non è cosa facile, soprattutto se il leader della riunione non è gerarchicamente il capo dei partecipanti. Un team è un microcosmo di caratteri e personalità che, se già possono essere complesse prese singolarmente, in gruppo diventano ancor di più difficile gestione.

Spesso gli atteggiamenti troppo emotivi portano allo sviluppo di dibattiti e di discussioni che non hanno nulla a che vedere con l’agenda del meeting. Questo è fisiologico: ogni invitato presenzia alla riunione portandosi dietro le proprie preoccupazioni, problematiche, simpatie e fa fatica a liberarsene. Molti partecipanti con questi atteggiamenti creano poi gruppi che si perdono nei dettagli e che sono inconcludenti.

Possiamo ricorrere all’aiuto della psicologia della gestione dei gruppi di lavoro perché vi sono alcune dinamiche ripetitive facilmente gestibili; nello specifico si possono identificare le seguenti tipologie di personaggi difficili.

 

question-manIL DOMANDOLOGO: E’ il partecipante che ha bisogno di fare continue richieste di approfondimento. Le domande di per sé sono un segnale di attenzione e di grande interesse (purché poste con toni tranquilli e non polemici), ma in generale si definisce domandologo il partecipante che eccede con le domande e arriva a disturbare gli altri e a farci perdere tempo. E’ importante porsi in maniera simpatica perché questo partecipante è una figura positiva e partecipativa all’interno della riunione, per cui l’ironia non deve essere un rilancio passivo ma una semplice battuta tipo: “come mai non mi hai ancora fatto domande?” accompagnandola con un sorriso e magari con una strizzata d’occhio. Questo tipo di gestione può funzionare meglio in ambienti informali.

 IL LOGORROICO: E’ il partecipante è che lungo e prolisso nei suoi interventi: non possiamo essere certi che sia solo un chiacchierone senza sosta oppure un accentratore, ciò che è importante ai fini della riunione è che i suoi interventi fanno perdere tempo e infastidiscono gli altri partecipanti. In questo caso la leadership deve emergere ed essere ben visibile, altrimenti gli altri partecipanti potrebbero percepire il conduttore come uno senza la capacità di gestione del team e del tempo. Tra l’altro, poiché uno degli obiettivi del leader è quello di fare partecipare tutto il gruppo per poter progredire nei lavori, è fondamentale bloccare gli interventi di questo partecipante. Il leader deve chiedere gentilmente al logorroico di aiutarlo a rispettare i tempi dedicati ai singoli punti in agenda e può rafforzare questa richiesta costituendosi un alleato nel timekeeper che a questo punto dovrà fare il “gioco sporco” è interrompere il logorroico al posto del leader segnalando che non si ha molto tempo residuo.  mormoratore

 

IL MORMORATORE: E’ un partecipante innocuo ma molto fastidioso perché crea un brusio di sottofondo che disturba e inoltre coinvolge nella sua perdita di attenzione anche i colleghi seduti al suo fianco. Bisogna stare attenti a irrigidirsi subito perché nelle riunioni può capitare di dover dire qualcosa nell’orecchio al collega, non per distrazione o mancanza di interesse, ma per il rimando ad aspetti lavorativi utili per i due partecipanti. Il leader deve essere bravo a comprendere se si tratta di chiacchiere finalizzate alla condivisione di aspetti lavorativi, forse fastidiose ma in genere utili ai partecipanti, oppure di mera distrazione. Nel primo caso può tentare di interrompere la chiacchierata e chiedere ai partecipanti coinvolti se hanno il piacere a condividere i loro spunti con gli altri colleghi. Nel caso di chiacchiere palesemente fatte per disturbare o per mancanza di interesse, occorre che il leader affronti i partecipanti con decisione e autorevolezza chiedendo loro di rispettare la disciplina e se persistono nel loro atteggiamento, dovrà non prestare loro più alcuna attenzione.

 

 

IL SACCENTE: Questo partecipante è difficile da gestire perché oltre all’atteggiamento del “io so tutto” ha anche la convinzione che il leader non sia poi così abile a gestire la riunione. Poiché egli pensa che il suo contributo sia fondamentale, attinente e illuminante per tutti, partecipa attivamente alle riunioni con un atteggiamento talvolta supponente per indicare come le cose dovrebbero essere fatte. Spesso il saccente fa dietrologia, intervenendo con commenti tipo “l’avevo detto io..”, “..se aveste fatto come avevo suggerito la volta scorsa..”.  Il leader può agire in due modi:

  1. Può ringraziarlo pubblicamente per il suo intervento e per la competenza che generosamente sta offrendo a tutti (attenzione a essere credibili con la modalità non verbale!). Il saccente ha bisogno di riconoscimenti in plenaria e quindi una parte di esso verrà gratificata da questo intervento; tuttavia si chiederà se realmente lo avete apprezzato oppure se è un modo per ironizzare sul suo intervento e poiché non ama le prese in giro, tenderà a limitare i commenti nei punti trattati nei minuti successivi;
  2. Un altro modo per gestirlo può essere la strategia di chiedere sempre a lui per primo, prima di prendere una decisione, cosa farebbe. Il saccente, preso alla sprovvista, non riuscirà a formulare una corretta risposta e farfuglierà qualcosa. Questa onta lo terrà tranquillo per i venti minuti successivi.

IL SILENZIOSO: Ci sono tre tipologie di partecipante silenzioso: quello demotivato o disinteressato, quello ostile e quello timido. Gli atteggiamenti e i presupposti sono completamente differenti: il demotivato tende a distrarsi facilmente, a disegnare sul proprio blocco degli appunti, a guardare continuamente l’orologio e/o il cellulare (proprio come se fosse a scuola), l’ostile ha un atteggiamento fisico di chiusura ed è spesso imbronciato mentre quello timido ha atteggiamento evasivi, tende a non guardare negli occhi per il timore di essere coinvolto. Ognuna di queste tre tipologie va gestita in modo diverso dal leader. Con il demotivato il leader dovrebbe innanzitutto se ha fatto bene a convocarlo e se realmente egli può dare un contributo o essere uno degli attori fondamentali per gli argomenti all’OdG. Potrà, nel caso di reale interesse a coinvolgerlo, assumere le stesse strategie da usare con il timido per “tirarlo dentro” nella discussione e avere anche il suo punto di vista. Con il partecipante dal silenzio ostile occorrerà essere cauti e inizialmente non costringerlo a intervenire. Occorrerà osservare bene a livello non verbale se l’ostilità è verso il leader, verso l’argomento trattato o verso un partecipante presente al meeting. Nel corso della riunione può essere utile fargli domande ponendole sotto forma di consiglio: “che suggerimento proponi per questa tematica?”.

IL POLEMICO: E’ un partecipante fastidioso ma non di difficile gestione. La sua mission è di evidenziare tutto ciò che non quadra, trovare il lato negativo delle proposte, osservare da angolazioni pessimistiche le soluzioni avanzate. Ho indicato mission perché il polemico è polemico di natura; non lo fa solo per essere disfattista, talvolta si aspetta anche dei plausi per come è riuscito a trovare così tante problematiche e criticità all’interno di una soluzione apparentemente percorribile. Partendo dal presupposto che talvolta avere all’interno del team “un avvocato del diavolo” può essere utile per stimolare una maggiore creatività negli altri partecipanti, questo tipo psicologico va gestito con cautela. Il leader non deve spazientirsi né renderlo visibile. Egli può ascoltare l’intervento del polemico con attenzione e al termine commentare con una frase tipo “interessante anche se ho qualche perplessità su alcuni punti”. Può essere utile chiedere ad altri partecipanti cosa ne pensano per rafforzare la vostra perplessità ed unire ad essa quella degli altri partecipanti. In questo modo il polemico non si sentirà spalleggiato da nessuno e potrebbe decidere di risparmiare i suoi commenti nei punti successivi.

businessmen-152572_960_720IL CONTRO-LEADER: Il contro-leader è colui che si mette di traverso nei confronti del leader. Potrebbe essere anche saccente e polemico ma ciò che lo differenzia da questi due partecipanti è che i suoi interventi hanno proprio l’obiettivo di attaccare il leader o di sminuirne l’autorevolezza. La comunicazione del contro-leader può essere spigolosa, aggressiva o anche molto calma e pacata (seppure tagliente!). Potrebbe non avercela direttamente con il leader ma semplicemente aver bisogno che i riflettori siano puntati su di lui e non sul leader. Comprendere questa ultima sfumatura è importante: se il contro leader non ce l’ha con il conduttore della riunione ma ha semplicemente bisogno di farsi notare, il leader può assecondarlo in questo suo bisogno, facendolo sentire importante, chiedendogli spesso il suo parere ed evidenziando con gentilezza che avete bisogno di tutti per terminare nei tempi previsti e lasciare i partecipanti agli impegni di lavoro (guardando proprio il contro-leader) importanti e urgenti. Se invece gli attacchi sono frontali e il contro leader sta cercando di fare una guerra aperta con il leader, è bene ignorare le critiche, rispondere sempre ai suoi interventi con domande (“perché?”, “In che senso?”, “come faresti?”) per non dargli pause e rimetterlo continuamente in gioco.

Sicuramente è un duro lavoro… ma una volta che si apprende come fare si avranno grandi soddisfazioni!!

Alla prossima!

 

 

 

 

 

 

COME FORMULARE UNA CRITICA IN MODO ASSERTIVO

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A volte capita di dover muovere delle critiche agli altri e il rischio è quello di generare comportamenti o troppo aggressivi o di scegliere strategie passive per evitare conflitti.

In particolare, quando si esprimono delle critiche si corre il rischio di finire in una modalità aggressiva win-lose screditando, umiliando o ferendo l’altro.

Questo non produce nulla di buono perché le relazioni win-lose non aiutano chi ha vinto…anzi, nel lungo periodo la relazione si ribalterà o porterà ad un lose-lose.

Nella nostra cultura siamo portati a collegare la passività con il genere femminile e l’aggressività con il genere maschile: si accettano quindi comportamenti aggressivi da uomini e si comprendono comportamenti passivi dalle donne. Al contempo, un uomo che produce comportamenti passivi è considerato un’ “ameba” così come una donna aggressiva viene vista come una “strega”.

Il comportamento assertivo prevede atteggiamenti e scelte linguistiche che facilitano le relazioni e non ha genere: è una strategia comportamentale utile a uomini e donne che genera rispetto per gli altri… “tirando le orecchie…gentilmente..”.

Nello specifico è un comportamento sociale caratterizzato da un empatico rispetto di se stessi e degli altri: la persona assertiva sa muovere le critiche partendo da un importante presupposto: voglio il rispetto per me…e per gli altri (senza quindi screditare né aggredire l’altro)!

 COME FARE PER RENDERE DELLE CRITICHE ASSERTIVE?

Ecco alcuni piccoli ma efficaci suggerimenti:

  1. Criticare a quattr’occhi e in privato;Assertion-5
  2. Parlare in modo fermo e tranquillo;
  3. Criticare sempre un comportamento e non la persona e il suo carattere;
  4. Essere specifici e chiari nella critica, argomentando e motivando con dati oggettivi;
  5. Lasciate spazio all’altro per esporre il proprio punto di vista, senza interromperlo;
  6. Concludere con un sorriso e una proposta che rafforzi l’intenzione positiva.

In questo modo saremo soddisfatti di noi e del nostro intervento… inoltre, visto che nella comunicazione ci si condiziona a vicenda, certamente il nostro interlocutore sarà portato, nelle future interazioni con noi, a mettere in atto comportamenti simili, generando una sorta di ASSERTIVITÀ VIRALE!

CHURCHILLCome disse W. Churchill:

“La critica può non essere piacevole, ma è necessaria. Compie la stessa funzione del dolore nel corpo umano. Richiama l’attenzione su uno stato malsano delle cose. Se è ascoltata in tempo, il pericolo può essere evitato; se viene messa da parte, si può sviluppare un morbo fatale.”

CHI DOMANDA, COMANDA….MA ATTENTI AGLI ERRORI!

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Coloro che nella comunicazione sanno porre le domande nel modo giusto, riescono a coinvolgere meglio i propri interlocutori, guidano la conversazione e hanno buone probabilità di risultare convincenti.

Saper porre le domande più adatte nel modo giusto è quindi uno degli strumenti più importanti del processo persuasivo sia per ottenere le informazioni necessarie, sia per guidare la conversazione nel verso che si vuole prendere.

L’utilizzo delle domande ci permette inoltre di dare importanza al nostro interlocutore perché le domande lo pongono al centro dell’attenzione e questo piace sempre molto.

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Poiché è noto il detto che CHI DOMANDA COMANDA, sarebbe utile imparare a fare le domande giuste per mantenere il controllo della comunicazione e esserne convincenti .. le domande mal poste sono uno strumento rischioso: è fondamentale evitare che il proprio interlocutore si senta sottoposto ad un terzo grado.

Potrebbe essere utile addolcire le richieste con parole tipo “Posso cortesemente chiederle…”, “le dispiacerebbe dirmi…”, “Può dirmi per favore….”, ecc.. In particolar modo vorrei concentrarmi con questo post sui 6 errori da evitare quando si fanno le domande:

  1. Fate una domanda alla volta: troppe volte sbagliamo ponendo due o più domande al nostro interlocutore…che senso ha? Vi siete accorti che tanto risponde solo a una? Facciamo un esempio: “Ciao, come stai? Ti disturbo? Sei a casa?” la risposta generalmente è “Ciao, sono in ufficio..”. Poiché difficilmente abbiamo due risposte, concentriamoci sulla domanda per la quale vogliamo ottenere una risposta.
  2.  Ascoltate la risposta: se facciamo una domanda a qualcuno è perché siamo interessati a comprendere il suo punto di vista o a ricevere informazioni al riguardo. Che senso ha non ascoltare la risposta e ripartire dopo pochissimi secondi con una nuova argomentazione? Esempio: “Ciao, come stai? Disturbo?..ti ho chiamato per chiederti…..” E’ vero che alcune persone ci mettono un po’ di tempo per formulare una risposta..ma ognuno ha i suoi tempi… anche questo è rispetto.
  3.  Formulate domande semplici e brevi: la semplicità facilita la comprensione e mette il nostro interlocutore da subito nella posizione di poter elaborare una risposta..senza dover perdere del tempo prezioso per analizzare la richiesta…. Esempio: “Considerando le difficoltà che contraddistinguono al momento presente la nostra realtà aziendale e le nostre aziende competitor, quali sono secondo te i fattori che sembrano interferire con i nostri tentativi concreti di ripresa commerciale e dello sviluppo del business?”.
  4.  Evitate di fare considerazioni all’interno della domanda: la domanda è neutra, non deve contenere assunzioni o giudizi. Questo potrebbe inibire il nostro interlocutore e portarlo a non dare risposte oppure a darle in maniera poco spontanea. Esempio: “Immagino che con tutto quello che hai guadagnato nello scorso anno, tu non abbia alcun problema a valutare questo tipo di acquisto, vero?”. Trovo che sia una formulazione poco corretta e poco etica.
  5. Evitare di fare domande con il “perché..?”: si suggerisce di evitare tale avverbio in quanto esso pone una richiesta troppo esplicita (per cui spesso si rischia di ricevere come risposta un atteggiamento di chiusura) oppure induce il nostro interlocutore a doversi giustificare perché suona come una critica. Abituiamoci allora a sostituirlo con altre formulazioni:

 “Perché hai scelto questo prodotto?” ⇒ “Cosa ti ha spinto verso questa scelta?”

e ancora

“Perché sei così disattento?” ⇒ “Come mai fatichi a mantenere attenzione su questo tema?”.

 

6.Le domande tendenziose: come per il punto 4, anche in questo caso la domanda potrebbe infastidire il nostro interlocutore che leggerebbe un secondo fine nella nostra domanda. Chi pone domande tipo: “Cosa ti suggerisce di fare la tua coscienza?” oppure “Quanto ti sta irritando questa situazione? Sei irriconoscibile..” sembra avere uno scopo preciso nel porre la domanda oppure viene percepito come uno che vuole esercitare un condizionamento sull’altro.

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Non esistono quindi risposte sbagliate ma solamente domande mal formulate…abituiamoci a fare domande che ci possano portare velocemente a ottenere la risposta di nostro interesse, quello che non manipolano la risposta dell’interlocutore e infine quelle che non lo fanno sentire come in un interrogatorio.

E dopo le domande giuste, bisogna iniziare ad ascoltare bene!

I BISOGNI INSODDISFATTI

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I nostri bisogni insoddisfatti cercano sempre disperatamente la soddisfazione!

Perchè questo articolo oggi?

Ho avuto a che fare con persone che chiedevano disperatamente gratificazioni in ogni contesto della loro vita e ne ho incontrate altre incapaci di rendere gratificazioni..

Per non cadere in questi errori (entrambi lo sono) è bene comprendere di cosa si tratta.

Si conoscono molti bisogni di gratificazione: affettiva, sociale, economica, carrieristica, ecc.. ma forse i più dolorosi sono quelli riferiti alle relazioni interpersonali e, in particolar modo, quelli legati alle persone a noi care.

Si sa che i comportamenti delle persone che dipendono dalla gratificazione altrui affondano le loro radici nei conflitti non risolti con la propria famiglia d’origine…queste persone sono cresciute in contesti familiari incapaci di nutrire i loro bisogni affettivi.

Quando le figure genitoriali, in particolar modo quella materna, non offrono una valida conferma d’amore, il figlio pensa di “non essere amato perché non valido”. Il suo inconscio memorizza questa informazione e in età adulta cercherà di tranquillizzare la sua paura di abbandono con una disperata ricerca (talvolta ossessiva) di conferme affettive.

In pratica non solo dobbiamo gestirci le incapacità relazionali dovute ad un imprinting di un modello genitoriale “sbagliato”, ma anche correre ai ripari e cercare per tutta la vita di nutrire quella parte di noi che non è stata sufficientemente alimentata.

Per fare un esempio: un figlio di una madre negativa e ipocondriaca, non solo sarà una vera “piattola” perché si porterà addosso il modello di negatività, ma cercherà disperatamente persone positive per aiutarlo ad uscire dal suo stato insoddisfacente…le persone positive però, cercano il positivo e stanno alla larga da coloro che potrebbero turbare uno stato felice e leggero apportando solo lamentele e brontolii.

E ancora, chi è vissuto in un contesto familiare in cui la gratificazione della figura femminile non era prevista (famiglie di imprinting maschilista), non saprà mai gratificare la propria moglie e in generale le figure femminili (madre, suocera, ecc..) pur provando sinceri sentimenti d’amore nei loro confronti.kissing parents.jpg

Per cercare di ridurre al minimo gli errori quindi teniamo presente che i bambini ( e gli adolescenti) cercano la gratificazione soprattutto nel contesto familiare, visto proprio come luogo della propria gratificazione affettiva. Se noi genitori lasciamo il vuoto, i nostri figli cercheranno di riempirlo con il supporto dei loro coetanei, dove però l’essere pari non aiuta e non porta così facilmente a ricevere gratificazioni, anzi spesso porta all’isolamento e nei casi più gravi a fenomeni di bullismo.

L’autoefficacia del singolo, che è fondamentale perché dovremmo riuscire a identificare in noi stessi le risorse per “stare bene”, è qualcosa che prende forma solo da adulti. Nei bambini e negli adolescenti serve il confronto con modelli accessibili e credibili: modelli che non sempre si trovano nei gruppi di amici ma che sicuramente si possono costruire nella famiglia.

Questo è il primo obiettivo da porsi perché la mancanza di questo tipo di gratificazione, porterà ad avere bisogni insoddisfatti e la scelta potrebbe essere quella di cercare gratificazioni istantanee (cibo, droga, ecc.) suggerite da bisogno emotivo del momento e si rischierebbe di creare nuovi se non più grandi problemi.

Well-Complimet

E voi che gratificazioni cercate?

Attendo feedback!

IL RICATTO EMOTIVO: le relazioni affettive e la “comunicazione egoistica”

ricatto emotivo

La parola manipolazione non ci piace, non ci sentiamo manipolatori e anzi, talvolta abbiamo temuto di essere manipolati.

Tuttavia, volendo essere sinceri, a tutti sarà capitato di ricorrere a forme più o meno velate di manipolazione, soprattutto nei confronti di persone a noi care (figli, partner, fratelli, amici..).

Sono forme di manipolazione sane nella misura in cui non sono volte alla sopraffazione dell’altro né a portare l’altro a fare qualcosa di offensivo o che va contro la sua volontà ma possono diventare egoistiche e malsane.

 Si conoscono 4 tipi di manipolazione:

  1.  Manipolazione per induzione del senso di ignoranza: il soggetto più forte vuole portare il soggetto debole a fare qualcosa facendolo sentire inesperto o incapace. Tra le frasi più usate in questo tipo di manipolazione: “Ascoltami, che mi ci sono già trovato..fidati..”, “Segui i miei consigli, lo sai che ho più esperienza di te..”;
  2.  Manipolazione mediante seduzione: Il soggetto più forte vuole portare il soggetto più debole a fare qualcosa sfruttando leve affettive, seduttive o semplicemente complicità e simpatia. In questo campo i bambini sono già molto bravi perché per ottenere ciò che vogliono ricorrono a coccole e bacini;
  3. Manipolazione mediante senso di colpa: Il soggetto più forte costringe il soggetto più debole a seguire la sua opinione facendolo sentire in colpa. Alcune frasi genitoriali tipiche: “Mi fai soffrire con i tuoi comportamenti, non lo merito”, “Come puoi fare questo..dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto per te?”;
  4. Manipolazione mediante disapprovazione: il soggetto più forte tende a ricattare il soggetto debole con muri di silenzio o musi. Tra le frasi più usate: “Fa’ quel che vuoi..vorrà dire che mi regolerò di conseguenza!”, “ Fai quel che credi, ma non pensare che sarò dalla tua parte!”

I primi due tipi di manipolazione possiamo definirli “sani”..anche se non è mai totalmente etico spingere per ottenere ciò che NOI vogliamo, senza tenere conto di ciò che vorrebbe l’altro.

Gli altri due tipi di manipolazione possono essere definiti RICATTI EMOTIVI.

 Il ricatto emotivo si verifica quando una persona a noi cara ci minaccia più o meno esplicitamente di punirci, di farci soffrire o di stare molto male se ci rifiutiamo di attenerci alle sue richieste.

 Questo tipo di ricatto è messo in atto dalle persone con cui si hanno relazioni affettive e generalmente il ricattatore conosce i nostri segreti, i nostri valori, le nostre debolezze e li usa per indurci ad obbedire.

Alcuni genitori utilizzano quotidianamente queste “tecniche” con i propri cuore cappiofigli, soprattutto adolescenti, forti dell’alibi che tanto-lo-stanno-facendo-per-il-loro-bene. Se è chiaro che l’età dell’adolescenza non è facile e che i conflitti sono all’ordine del giorno, è ingiusto uscirne con frasi tipo “se fai così mi verrà un infarto..così magari sarai contento!”. Questo ricatto emotivo porta alla rinuncia della propria individualità per il timore di perdere l’affetto dei nostri cari…ci sembra un metodo educativo corretto?

Ma come fare per uscirne? Come fare a non commettere questi errori?

 –  Se siamo i ricattatori, teniamo presente che amare una persona significa lasciarla libera di agire (e sbagliare) e che gli adulti che ricorrono al ricatto emotivo stanno educando dei figli che diventeranno ancor più abili di loro nel metterlo in atto. Il ricatto emotivo porta colui che è la vittima a cedere continuamente e a perdere la fiducia in se stesso (perché si sente incapace di imporre il proprio punto di vista)..questo non è voler bene!

 – Se siamo i ricattati, prendiamo consapevolezza del fatto che chi ci ricatta non si sente abbastanza sicuro di discutere con noi considerando anche il nostro punto di vista e che teme disperatamente di perdere…non è quindi così forte! Stabiliamo se siamo pronti ad affrontare le conseguenze di un’opposizione, ci vorrà determinazione indubbiamente, ma teniamo presente che GLI ALTRI CI TRATTERANNO SEMPRE NEL MODO IN CUI NOI CONSENTIAMO LORO DI FARE!

 

QUINDI..COSA VOGLIAMO FARE DELLE NOSTRE RELAZIONI?