IL VALORE DI UN SORRISO

SMILE

Il sorriso è uno dei più importanti strumenti comunicativi e la sua portata è di forte impatto. Chi sorride entra subito in empatia con l’interlocutore e riesce spesso a contagiarne l’umore. Le persone che sorridono poco (alcuni esempi di personaggi famosi possono trovarsi in Margareth Thatcher, Victoria Adams, Bruce Willis, Hugh Laurie/dottor House, Josè Mourinho, ecc..) paiono scontrose o aggressive.

A livello percettivo, siamo portati ad associare una persona sorridente a stati d’animo positivi, come la simpatia, la cordialità, l’empatia, la disponibilità e l’apertura relazionale.

Più in generale, la capacità di sorridere è un’abilità sociale che trasmette una visione ottimistica ed è un efficace strumento di self-marketing: spesso infatti il sorriso è il primo “biglietto da visita” nei rapporti interpersonali e non solo quelli di vendita.

Se il sorriso è sincero trasmette apertura e gli studi in ambito comunicativo ne sottolineano la potenza in termini persuasivi e seduttivi: un bel sorriso conquista e genera in chi lo riceve, il piacere di instaurare una relazione professionale o personale.

Tuttavia non sempre il sorriso comunica apertura e disponibilità relazionale.

Come fare a riconoscere se un sorriso è sincero o meno?

Ci viene in aiuto l’analisi della comunicazione non verbale che rispetto a questa modalità comunicativa, ci segnala che ci sono essenzialmente due tipi di sorriso: quello vero, spontaneo e quello falso, di circostanza.

Il sorriso vero è aperto, ed è quello in cui si mostrano i denti; generalmente è istintivo ed autentico e porta a socchiudere leggermente gli occhi e far “gonfiare” gli zigomi.

E’ sempre importante che il sorriso sia sincero e non forzato, tuttavia, in alcune situazioni professionali, ci si trova a dover sorridere facendo quello che si dice “buon viso a cattivo gioco” anche se non se ne ha molta voglia. In questo caso manifestiamo finti sorrisi, che possono essere caratterizzati secondo tre diverse tipologie: il sorriso forzato, il sorriso a labbra strette e quello storto.  realvsfakesmile.png

Nella foto a sinistra, il primo sorriso appare naturalmente sincero e presenta le caratteristiche appena descritte, mentre il secondo è finto e forzato.

Possiamo riconoscere il sorriso forzato dal fatto che a ridere è solo la bocca mentre gli occhi hanno un’espressione più o meno indifferente. Un’altra caratteristica del sorriso forzato è quella di essere leggermente più marcato su un lato della bocca (generalmente il lato sinistro).  E’ il tipico sorriso “di rappresentanza” ma non è affatto convincente e il destinatario non ne conserva un buon ricordo.

charlene monaco

Capita anche spesso di vedere alla televisione o sui giornali foto di personaggi famosi o di politici che sorridono a labbra strette. Questo sorriso è classificato tra i sorrisi finti perché rappresenta più un gesto di cortesia e anzi, a volte viene utilizzato per non manifestare palesemente l’antipatia o il disappunto verso l’interlocutore o l’argomento. Anche in questo sorriso gli angoli della bocca si tendono e gli occhi manifestano scarsa emozione.

lady diana

Il sorriso storto viene utilizzato tutte le volte che sorridiamo e comunichiamo nel contempo sarcasmo o scherno. In questo caso il viso presenta la bocca sollevata solo da un angolo lasciando l’altro angolo senza alcuna espressione. Le sopracciglia sono talvolta sollevate e inarcate; per individuare questo tipo di sorriso, occorre essere molto esperti perché questa espressione dura pochissimi secondi. Per comprendere meglio la “falsità” di questo tipo di sorriso, si può coprire con una mano la metà del viso della figura qui a lato e constatare che da un lato si coglie il sorriso mentre dall’altro il viso risulta inespressivo e quasi spento.

L’incapacità di sorridere è un segnale non verbale di evidente chiusura. Si è scoperto che sorridere mette in azione oltre il 50% di muscoli in meno rispetto a quelli che attiviamo quando facciamo il muso o espressioni severe.

Suggerisco di sorridere sempre perché è come se costruissimo un ponte fra noi e gli altri.

Se qualcuno non capisce perché sorridete e considera che (come afferma l’antico detto) “il riso abbonda sulla bocca degli stolti”, non è un buon comunicatore e questo è un problema suo, non vostro!.

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Alla prossima!

 

PERCEZIONI E PREGIUDIZI

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La percezione è il processo mediante il quale il cervello elabora le informazioni sensoriali provenienti dal mondo esterno e le traduce in informazioni più complesse. Il mondo percettivo non è la copia esatta del mondo reale ma un’elaborazione che le singole persone fanno relativamente a un’esperienza.

Le persone, andando alla ricerca di una coerenza con le proprie mappe mentali. In altre parole, filtrano la realtà e cercano di ricostruirla per ridare ad essa un senso.

Le nostre interpretazioni ci inducono a trasformare il nostro interlocutore secondo l’immagine che ci siamo fatti di lui, ovvero, tendiamo a cercare continuamente in lui dei segnali (verbali e non verbali) che confermino la nostra percezione. Già nel 1813 la scrittrice inglese Jane Austen nel suo famoso romanzo Orgoglio e Pregiudizio aveva organizzato l’intera trama raccontando la nascita di un amore contrastato da una prima impressione sbagliata che i due protagonisti Elisabeth e Darcy avevano provato reciprocamente. Il titolo originario dell’opera (in inglese Pride and Prejudice) era infatti First Impressions, modificato successivamente dall’autrice e rende perfettamente il senso di come un’errata cattiva impressione possa aver provocato addirittura la mancata ammissione della nascita di un sentimento d’amore tra i due protagonisti.

PREJUDSiamo quindi esperti nel formulare giudizi sulle persone partendo dalle nostre prime impressioni e questo accade nei primissimi secondi dell’incontro: entro i primi quindici secondi decidiamo se il nostro interlocutore merita la nostra fiducia, simpatia, interesse, ecc… .

Quando sentiamo parlare di pregiudizi pensiamo subito a quelli di natura razziale, ma il concetto di razza è piuttosto recente. I pregiudizi religiosi (persecuzioni e discriminazioni) li hanno certamente preceduti e ancor prima, ed è quello su cui vorrei porre la nostra attenzione, i pregiudizi di natura psicologica.

Watzlawick aiuta a “giocare” con i preconcetti e presenta il famoso problema del “nove punti”: un esercizio in cui la richiesta fatta è di unire i nove punti con quattro linee rette senza mai staccare la penna dal foglio:

  9punti

Ÿ

Ciò che rende la risoluzione di questo esercizio difficile è il presupposto (mappa mentale) che abbiamo autonomamente dato per scontato, ovvero che i nove punti costituiscano il perimetro di un quadrato, per cui, finché non si smette di considerarlo tale la soluzione non si troverà mai.

La soluzione si trova andando fuori dall’immaginario quadrato unendo i nove punti come indicato di seguito:

 

Ÿ         Ÿ         Ÿsoluzione 9 punti

Per diventare bravi nelle relazioni occorre saper accettare mappe differenti dalle proprie, anche se questo ci pone al di fuori delle nostre zone di comfort…

MA SECONDO ME E’ ASSOLUTAMENTE FATTIBILE… COSA NE PENSATE?