LA COMUNICAZIONE NON VERBALE IN CONTESTI INTERCULTURALI

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Comunicare con efficacia non significa raggiungere tutti i propri obiettivi ed essere dei perfetti oratori, quanto piuttosto migliorare i rapporti interpersonali attraverso l’ascolto, l’osservazione e la calibrazione dell’interlocutore. L’osservazione è un elemento da non trascurare soprattutto quando si vuole approfondire l’ambito della comunicazione non verbale.

E’ noto a tutti che comunichiamo non soltanto con le parole ma con un insieme di gesti, sguardi, movimenti del corpo, detto in un’unica parola con il linguaggio non verbale: un tipo di linguaggio assolutamente espressivo da non aver bisogno delle parole.

E, quando ci si relaziona in contesti multi etnici, le parole passano davvero in secondo piano e occorre imparare una nuova tipologia di comunicazione interculturale che, nella sua definizione, vuole rispondere alla domanda: “come fanno a relazionarsi le persone che non hanno esperienze culturali simili?”.

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Effettivamente le diverse culture presentano dei propri segnali non verbali tipici e fra tutti la gestualità è l’aspetto che cambia di più nell’ambito dei differenti paesi. Facciamo alcuni esempi: relativamente al contatto fisico, in alcuni paesi arabi è naturale che gli uomini si salutino dandosi un bacio sulla guancia o che camminino tenendosi per mano perché in questi paesi il contatto fisico è considerato una forma di rispetto per cui non è bene astenersi dal praticarlo. In altri contesti sociali è considerato “sbagliato”, poco professionale e in alcuni casi estremi osceno.

E ancora, prendiamo il gesto “ok”,  formato unendo le punte del dito indice e del pollice: esso ha il significato di “va bene” negli Stati Uniti e in Europa settentrionale, ma in Francia indica qualcosa priva di valore (basandosi sulla simbologia del numero zero) e in Giappone simboleggia il denaro (si simula la forma rotonda di una moneta). ok.pngCi sono alcuni aneddoti a riguardo, sembra che negli anni ’50, durante una visita di Nixon in Brasile, i cittadini del posto divennero furiosi dopo che egli indirizzò loro ciò che considerava il segnale di approvazione (ok). Per quella gente il politico americano stava semplicemente offendendoli con un gesto osceno; egli non era stato attento alla differenza culturale anche nella trasmissione di un messaggio non verbale.

Ovviamente la scarsa conoscenza di alcune modalità comunicative influenza il rapporto con le altre persone.

Come si può trovare una strada di comunicazione fra le diverse etnie?

Storicamente, quando si faceva fatica a trovare il modo di comunicare con le persone diverse e non era possibile allontanarle, si è cercato di cambiarle, imponendo i propri pensieri e abitudini. In alcuni casi, la diversità spaventava a tal punto che le persone diverse andavano eliminate. Presento questi esempi storici per sottolineare come, nonostante siano passati anni, al giorno d’oggi ci siano ancora resistenze e difficoltà nell’accettare semplicemente le persone per ciò che sono e per i valori che portano. Per riuscirci occorre allenare il sentimento di “sensibilità interculturale”, ovvero la capacità di discriminare e sperimentare con entusiasmo le differenze culturali.

cavemanIn quest’ottica la comunicazione non verbale aiuta. E’ un po’ come tornare nella preistoria e vivere senza le parole, con i gesti, con gli sguardi, con il rispetto degli spazi interpersonali e della fisicità dell’altro e in questa dimensione le persone diventano un pochino più simili.

Si può quindi pensare di favorire l’incontro fra culture attraverso lo studio e la conoscenza della cultura dell’altro. Ci sono molti testi che aiutano in tal senso e che sottolineano alcune aree su cui porre attenzione per evitare errori relazionali.

Portiamo altri esempi: in alcuni paesi diversi dal nostro, esistono grandi differenze tra le due mani (destra e sinistra): la mano sinistra ha un significato negativo e viene usata solo per l’igiene intima, mentre con la destra si mangia e si svolgono la maggior parte delle “azioni pubbliche”. La mano sinistra viene considerata sporca ed è per questo che in alcuni paesi viene amputata la mano destra a seguito di piccoli crimini, per obbligare il reo a vivere solo con la mano “sporca”.

Non soffermiamoci solo ai gesti. Anche la voce e le sue inflessioni vanno allenate: in alcuni paesi orientali, il tono di voce è pacato e il volume è basso, non per timidezza ma per una forma di gentilezza. Questa cultura considererebbe aggressivi e maleducati popoli come gli americani o gli italiani che invece, comunicano con un volume più alto e un tono più squillante. Il silenzio è molto apprezzato in oriente e in India, considerato come una forma di rispetto dei ritmi dell’interlocutore; nella nostra cultura il silenzio viene letto come imbarazzo, incapacità comunicativa o mancanza di attenzione.

Come possiamo trovare, allora in noi stessi gli strumenti necessari ad aprirci a mondi nuovi e comprenderli nel profondo?

Con un’umana empatia. Concetto facile a dirsi ma molto complesso da mettere inempathize pratica. Occorrerebbe iniziare a considerare le altre culture non come “folclore” o forme “primitive”, perché ci riferiremmo alle persone e alle relazioni interpersonali da un’unica prospettiva, la nostra, considerata soggettivamente quella corretta. Non riduciamo l’uomo ad un modello, impariamo a raccogliere con umana curiosità ed entusiasmo ciò che arriva dall’altro.

Ascoltiamo l’altro, osserviamolo e poi ascoltiamoci e comprendiamo cosa evocano certi comportamenti in noi. Cosa ci richiamano, come ci arricchiscono. Guardare con gli occhi di un bambino potrebbe aiutare: i bambini non conoscono razze, ceti sociali, culturalizzazione. Con un sorriso fanno amicizia e poi diventa tutto più facile.

Alla prossima!

CONFLITTI VERBALI E AGGRESSIVITA’: COME GESTIRE PERSONE DIFFICILI

aggressivo

Un’azienda su sette è ad alto rischio di prepotenze e prevaricazioni, secondo una ricerca di SDA Bocconi in collaborazione con INAIL dei primi mesi del 2016. 

Ma non vale solo per le aziende..

Quando accompagno i miei figli al parco giochi noto come i bambini si mostrano spesso aggressivi e prevaricanti fra loro e guai ad intervenire in un loro litigio, perché si potrebbe scatenare l’ira del suo genitore, ancor più aggressivo e prevaricante del figlio.

Si potrebbe dire, generalizzando, che viviamo in un mondo pieno di persone difficili da gestire: aggressive, maleducate, prepotenti, supponenti, arroganti e superbe.

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La cattiva notizia è che non le cambieremo mai. Non fa parte del nostro ruolo..

La buona notizia è che possiamo apprendere a gestirle interagendo correttamente e senza doverle “subire”.

Perché, se ci avete fatto caso, queste persone non mettono in atto gli stessi comportamenti con tutti ma hanno la tendenza a infierire con alcune tipologie di interlocutori specifici. Si tratta allora di gestire la relazione con queste persone nel modo giusto, utilizzando tecniche comunicative precise e con consapevolezza.

 Vediamone insieme qualcuna:

question mark1. Imparare a rispondere con una domanda anziché di reagire d’istinto: l’attacco verbale è messo in atto volutamente per ferirci ed è normale che la risposta istintiva esca dalla nostra bocca per colpire a nostra volta. Ma fare una domanda al posto del contrattacco ha almeno 4 significati strategici:

  • diventare padroni della conversazione
  • non dargli soddisfazione
  • metterlo nella condizione di dover elaborare una risposta
  • prendere tempo per controllare e gestire le proprie emozioni

2. Mettere in atto un ascolto empatico: chiedetevi il motivo per cui questa persona siempathic listening comporta in questo modo e provate a immaginare cosa potrebbe esserci dietro a comportamenti di questo tipo (insoddisfazione? Malcontento? Rabbia repressa troppo a lungo? Rabbia? Frustrazione?). Questo atteggiamento dovrebbe aiutarvi a relazionarvi in un modo più morbido e comprensivo e questo potrebbe aprire una cooperazione o comunque far diminuire il livello di aggressività dell’altro. Un atteggiamento aperto all’ascolto in una relazione aggressiva è una bella risposta di forza interiore e consapevolezza e tenderete a destabilizzare la persona difficile.

3. Tenere sempre presente il proprio obiettivo: nelle situazioni difficili a volte perdiamozen approach di vista il nostro obiettivo e tendiamo a farci coinvolgere emotivamente. Ma come si può portare avanti una strategia se si ha la vista annebbiata? Rimanere focalizzati su ciò che è importante per noi è una tecnica non semplicissima ma utile e efficace.

4. Utilizzare un approccio assertivo: con il comportamento assertivo è possibileassertiveness affrontare le persone aggressive gestendole con determinazione, tirando loro le orecchie, ma sempre rimanendo nel giusto. L’approccio assertivo è una strategia vera e propria che pone le sue basi sul concetto di “non mi faccio calpestare la mia dignità”e al contempo non calpesto la dignità degli altri”.

 

E se in azienda si ha a che fare con un capo con queste caratteristiche?

Si possono utilizzare i 4 punti sopra elencati per rispondere in maniera adeguata ed efficace gestendo i comportamenti aggressivi e il ruolo gerarchico del proprio interlocutore.

Vediamo come..

  1. Domandarsi quale potrebbe essere il comportamento più utile in una situazione come quella (SERVE A FORZARE L’OGGETTIVAZIONE E AD ABBASSARE LA COMPONENTE EMOTIVA);
  2. Domandarsi cosa si vorrebbe ottenere da quello scambio comunicativo (SERVE PER TENERE A MENTE L’OBIETTIVO);
  3. Pensare a come potrebbe sentirsi il nostro interlocutore in quel momento e quale potrebbe essere il suo stato di difficoltà per reagire in quel modo (ASCOLTO EMPATICO, SERVE PER COMPRENDERE IL PUNTO DI VISTA DELL’ALTRO);
  4. Rallentare la velocità del proprio eloquio forzandosi a parlare lentamente (DOPPIA FINALITA’: MISURARE LE PAROLE E DARE LA PERCEZIONE DI ESSERE CALMI E DETERMINATI);
  5. Fatelo concentrare sugli aspetti positivi (SERVE PER INIZIARE UNA COMUNICAZIONE NON BASATA SUL BOTTA E RISPOSTA). Esempio: “Io sono il capo!” “Bene, è importante avere una figura di riferimento e esperienza nel team. Cosa suggerisci quindi?”.

Questo ultimo punto è importantissimo perché in base ad alcuni studi pubblicati sul Journal of Experimental Social Psychology una persona in posizione di potere che è solita gestire le proprie relazioni con aggressività, ha la tendenza a ridurre il livello di aggressività espressa se riceve dai propri collaboratori consenso ed approvazione appagando il suo bisogno di sicurezza.♥♥

In fin dei conti anche i cattivi hanno un cuore….pitbull

Alla prossima!

 

IGNORANZA O INDIFFERENZA?

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Mi capita spesso di trovare in aula alcuni dipendenti demotivati…

Ho compreso che la loro motivazione non è quasi mai data da fattori di tipo economico (aumenti di stipendio, bonus, ecc..) né da fattori legati alla carriera, essi lavorano piuttosto con una bassa motivazione in relazione all’indifferenza aziendale verso le risorse umane.

Cos’è l’indifferenza?

E’ uno stato affettivo neutro che si manifesta con  assenza di considerazione, insensibilità, distacco e freddezza.

E’ lecito vivere relazioni con indifferenza, nella misura in cui non si è interessati alla relazione con alcune particolari persone.

Ma mi domando: qual è l’utilità di mostrare indifferenza verso i propri collaboratori? indifferent.jpg

Non è forse controproducente spingere un collaboratore alla demotivazione e alla frustrazione di una bassa considerazione?

Alcuni manager sono indifferenti per problematiche personali:

  • faticano a entrare in empatia e quindi mancano di coinvolgimento emotivo,
  • vogliono proteggere se stessi
  • hanno una natura fredda e distaccata
  • utilizzano l’indifferenza come strumento di manipolazione (strumento di punizione)

 

Altri manager invece sono indifferenti per ragioni legate al proprio ruolo professionale:

  • ignorano perché pensano che mostrando comprensione, il dipendente potrebbe approfittarne
  • temono che la loro leadership possa essere indebolita da un atteggiamento più “friendly”
  • pensano che essere partecipi e comprensivi con un dipendente possa significare non poter pretendere più nulla da lui
  • sono convinti che il loro ruolo non sia quello di fare “gli assistenti sociali”
  • non hanno mai abbastanza tempo

 

Alcuni invece manifestano un’indifferenza celata da partecipazione, si tratta di altri errori tipici che hanno in comune la mancata considerazione del proprio collaboratore:boss

  • parlano di se stessi e delle proprie esperienze pensando di aiutare
  • vanno direttamente alla soluzione (la propria!) del problema presentato dal collaboratore
  • pensano che aiutare sia FARE e non ASCOLTARE
  • giudicano apertamente il collaboratore screditandolo, mettendo sul ridere ciò che viene presentato.

 

Siete dei capi? Quali di questi errori commettete?

 

Quali errori invece commettono i vostri capi?

ALLA PROSSIMA!!

IL VALORE DI UN SORRISO

SMILE

Il sorriso è uno dei più importanti strumenti comunicativi e la sua portata è di forte impatto. Chi sorride entra subito in empatia con l’interlocutore e riesce spesso a contagiarne l’umore. Le persone che sorridono poco (alcuni esempi di personaggi famosi possono trovarsi in Margareth Thatcher, Victoria Adams, Bruce Willis, Hugh Laurie/dottor House, Josè Mourinho, ecc..) paiono scontrose o aggressive.

A livello percettivo, siamo portati ad associare una persona sorridente a stati d’animo positivi, come la simpatia, la cordialità, l’empatia, la disponibilità e l’apertura relazionale.

Più in generale, la capacità di sorridere è un’abilità sociale che trasmette una visione ottimistica ed è un efficace strumento di self-marketing: spesso infatti il sorriso è il primo “biglietto da visita” nei rapporti interpersonali e non solo quelli di vendita.

Se il sorriso è sincero trasmette apertura e gli studi in ambito comunicativo ne sottolineano la potenza in termini persuasivi e seduttivi: un bel sorriso conquista e genera in chi lo riceve, il piacere di instaurare una relazione professionale o personale.

Tuttavia non sempre il sorriso comunica apertura e disponibilità relazionale.

Come fare a riconoscere se un sorriso è sincero o meno?

Ci viene in aiuto l’analisi della comunicazione non verbale che rispetto a questa modalità comunicativa, ci segnala che ci sono essenzialmente due tipi di sorriso: quello vero, spontaneo e quello falso, di circostanza.

Il sorriso vero è aperto, ed è quello in cui si mostrano i denti; generalmente è istintivo ed autentico e porta a socchiudere leggermente gli occhi e far “gonfiare” gli zigomi.

E’ sempre importante che il sorriso sia sincero e non forzato, tuttavia, in alcune situazioni professionali, ci si trova a dover sorridere facendo quello che si dice “buon viso a cattivo gioco” anche se non se ne ha molta voglia. In questo caso manifestiamo finti sorrisi, che possono essere caratterizzati secondo tre diverse tipologie: il sorriso forzato, il sorriso a labbra strette e quello storto.  realvsfakesmile.png

Nella foto a sinistra, il primo sorriso appare naturalmente sincero e presenta le caratteristiche appena descritte, mentre il secondo è finto e forzato.

Possiamo riconoscere il sorriso forzato dal fatto che a ridere è solo la bocca mentre gli occhi hanno un’espressione più o meno indifferente. Un’altra caratteristica del sorriso forzato è quella di essere leggermente più marcato su un lato della bocca (generalmente il lato sinistro).  E’ il tipico sorriso “di rappresentanza” ma non è affatto convincente e il destinatario non ne conserva un buon ricordo.

charlene monaco

Capita anche spesso di vedere alla televisione o sui giornali foto di personaggi famosi o di politici che sorridono a labbra strette. Questo sorriso è classificato tra i sorrisi finti perché rappresenta più un gesto di cortesia e anzi, a volte viene utilizzato per non manifestare palesemente l’antipatia o il disappunto verso l’interlocutore o l’argomento. Anche in questo sorriso gli angoli della bocca si tendono e gli occhi manifestano scarsa emozione.

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Il sorriso storto viene utilizzato tutte le volte che sorridiamo e comunichiamo nel contempo sarcasmo o scherno. In questo caso il viso presenta la bocca sollevata solo da un angolo lasciando l’altro angolo senza alcuna espressione. Le sopracciglia sono talvolta sollevate e inarcate; per individuare questo tipo di sorriso, occorre essere molto esperti perché questa espressione dura pochissimi secondi. Per comprendere meglio la “falsità” di questo tipo di sorriso, si può coprire con una mano la metà del viso della figura qui a lato e constatare che da un lato si coglie il sorriso mentre dall’altro il viso risulta inespressivo e quasi spento.

L’incapacità di sorridere è un segnale non verbale di evidente chiusura. Si è scoperto che sorridere mette in azione oltre il 50% di muscoli in meno rispetto a quelli che attiviamo quando facciamo il muso o espressioni severe.

Suggerisco di sorridere sempre perché è come se costruissimo un ponte fra noi e gli altri.

Se qualcuno non capisce perché sorridete e considera che (come afferma l’antico detto) “il riso abbonda sulla bocca degli stolti”, non è un buon comunicatore e questo è un problema suo, non vostro!.

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Alla prossima!

 

E TU…SAI ASCOLTARE?

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Quando si parla di comunicazione tutti pensano a qualcuno che parla e pochi invece si concentrano sulla vera competenza alla base della comunicazione: l’ascolto.

Siamo tutti bravi a parlare ma pochi possono dirsi realmente dei bravi ascoltatori.
La capacità di ascolto sta innanzitutto nel sapere cosa significhi realmente ascoltare: trattenersi volontariamente ed attentamente ad udire..prestare la propria attenzione a qualcuno o qualcosa in quanto spunto di riflessione.
 
Ascoltare e sentire sono due attività molto diverse fra loro. Un buon ascoltatore “non sente”…ascolta con partecipazione.
Possiamo classificare le tipologie di ascolto in quattro classi, le prime due non possono ritenersi buone modalità di ascolto, mentre le ultime due sono indubbiamente coinvolgimenti attivi e validi:
  1. ASCOLTO PASSIVO: è quello che mettiamo in atto quando semplicemente udiamo…sentiamo che qualcuno sta parlando ma non ci concentriamo sull’altro. E’ il tipo di ascolto che mettiamo in atto, ad esempio, quando stiamo guardando la TV e qualcuno viene a farci domande.
  2. ASCOLTO SELETTIVO: è il tipo di ascolto in cui “selezioniamo” da quello che ci viene detto solo ciò che ci interessa, lo depuriamo quindi da tutte le informazioni che reputiamo non valide. E’ il tipo di ascolto che mettiamo in atto quando abbiamo a che fare con interlocutori logorroici oppure quando siamo prevenuti sul nostro interlocutore.
  3. ASCOLTO RIFLESSIVO: è un buon tipo di ascolto e consiste nel riformulare (riflettere…mirroring..) al proprio interlocutore ciò che si ha compreso. La riformulazione che si apre con frasi tipo: “Quindi se ho capito bene…” ” Mi stai quindi dicendo che..” è utilissima perché riesce a dare l’immediata percezione all’altro che è avvenuto un ascolto interessato. Fare chiarezza con le nostre parole e la nostra logica mentale può anche aiutare il nostro interlocutore a comprendere meglio ciò che aveva detto perché è come se lo rivedesse messo in ordine. Attenzione solo a non metter in bocca al proprio interlocutore parole o significati che non ha detto o non voleva dare. Per questo dovremmo esercitarci un po’ a non essere giudicanti.
  4. ASCOLTO ATTIVO: è l’ascolto in cui si ascolta sino in fondo, senza interrompere incoraggiando il proprio interlocutore. Incoraggiare significa cogliere i punti in cui ha dato enfasi (con lo sguardo, con la voce, con i gesti..) e fare domande per capire meglio e invitarlo a continuare.
Per essere veramente efficace un ascolto dovrebbe essere reattivo ed empatico!
Reattivo nel senso che prevede continui feedback che hanno l’obiettivo di “rinforzare” l’interlocutore all’approfondimento;  Empatico perché deve porsi l’obiettivo di mettere l’altro a proprio agio, a non farlo sentire giudicato e a instaurare un rapporto di fiducia.
 leonardo
Saper ascoltare significa possedere, oltre al proprio, il cervello degli altri.  (Leonardo da Vinci)